Una retrospettiva a Roma per il centenario dalla nascita di Giulio Turcato; un focus sulla stagione creativa più intensa di un grande del contemporaneo
La suggestione di tunnel e gallerie; la magia esercitata dal cuore della Terra, un magnete capace di attirare e conquistare, esercitando tutto il mistero della profondità. Ma anche il potere evocativo dell’assoluto; il fascino dello spazio e dell’universo, che ammalia e stordisce. Gli estremi dell’arte di Giulio Turcato convergono al MACRO, tempio romano del contemporaneo, per una retrospettiva che celebra il centesimo anniversario dalla nascita dell’artista.
La Project Room 1, destinata per definizione ad accogliere le mostre della serie “Omaggi”, dedica un focus intenso sul periodo creativo più stimolante di Turcato: quello compreso tra i primi anni ’50 e la metà dei ’70. Stagione che ha visto maturare in maniera definitiva la concezione di un astrattismo intimo, che supera i limiti vincolanti dell’immagine figurativa per abbracciare l’istintiva potenza del colore e del gesto.
Nessun intento didascalico, rifiuto di qualsiasi forma di arte illustrativa: in mostra il “Comizio” presentato alla Biennale del 1950, lavoro che segna il passo decisivo di Turcato verso un’astrazione matura, consapevole della propria capacità evocativa. In anni di forte impegno da parte degli artisti in politica, Turcato sa dribblare i rischi del dogmatismo: affrontando con uno stile unico e personale anche temi di carattere sociale.
È il caso della serie “Miniere”, suggerita dall’invito del Partito Comunista a visitare e documentare la situazione di alcuni impianti estrattivi. Turcato si lascia catturare dall’idea di profondità, la stessa che negli anni ’70 tornerà, ribaltata, in “Stellare”: nascono paesaggi impossibili, contesti virtuali dominati dall’eco della suggestione. Opere nelle quali immergersi per poi perdersi, trascinati dal vortice dell’immagine.