I capolavori rinascimentali della National Gallery di Londra si trasformano in macchine eretiche, che mettono in scena in chiave ironica il martirio dei santi. Nella visione dell’eclettico Michael Landy
Tre anni di lavoro, studio, analisi, interpretazione e rielaborazione. Tre anni ospite della National Gallery di Londra, passando in rassegna con estrema minuzia una collezione straordinaria, che parte con il gotico e si chiude ai primi del Novecento. Lo sguardo indugia sull’arte sacra, tra crocifissi e pale d’altare, declinando con ironia il tema del martirio, sacrificio estatico che trascende il dolore e diventa – nella visione dell’artista di oggi – simbolo di tenacia e compito rigore.
Turba e insieme delizia la personale di Michael Landy che il museo britannico ospita fino al prossimo 24 novembre. Saints Alive titola il progetto di uno tra i protagonisti del movimento YBA di inizio Anni Novanta, cresciuto insieme ai vari Damien Hirst e Tracey Emin; un garbato provocatore, meticoloso narratore e divertito sperimentatore. Costruttore di macchine terribili e affascinanti.
Cinghie e ruote dentate, ingranaggi metafisici e al tempo stesso ucronici: assemblaggi di objet trouvé quelli che generano sculture dinamiche e interattive. La pressione di un bottone attiva la messa in scena: il dito di Tommaso si infila beffardo nel torso di Cristo, Apollonia si colpisce la bocca con la pinza oggetto del suo martirio mentre Gerolamo si batte ripetutamente il petto con una pietra, pentito per gli sguardi lascivi lanciati alle bellezze romane.
I volti sono quelli delle tavole di Cosmé Tura e Cima da Conegliano, le figure sono quelle ascetiche e severe di Lucas Cranach. Landy prende in prestito i grandi capolavori della National Gallery, riproducendone i soggetti con satirico effetto di straniamento. Imponendo una riflessione sulla concezione e la cognizione del dolore, ma soprattutto sul potenza del gesto. Ribadendone forza e spessore concettuale.