Ha lavorato con uno tra i più grandi architetti del suo tempo, Giuseppe Terragni, e si è espresso nel segno di un astrattismo di matrice internazionale. Il Mart di Rovereto riscopre la figura di Mario Radice, straordinario interprete del Novecento italiano
Una stagione felice quella vissuta da Como e dal suo territorio negli Anni Trenta, con la città lariana a diventare piattaforma per sperimentare nuove soluzioni nel campo dell’architettura: grazie alla figura straordinaria di Giuseppe Terragni, fulcro di un movimento di rinnovamento che sa animare più ambiti della creatività. È questo il periodo in cui si sviluppa, in pittura, la parabola di una via tutta italiana all’astrattismo. Una via tracciata da Mario Radice.
Sono centinaia le opere, i bozzetti e le carte dell’artista lombardo conservati al Mart di Rovereto, che apre i propri archivi per una mostra che sa accendere l’attenzione su un episodio forse meno noto, ma tutt’altro che marginale, del Novecento italiano. Individuando con grande lucidità il filo rosso che ha unito pittura e architettura, per un processo di evoluzione comune che non ha avuto soluzione di continuità.
Sono firmate proprio da Radice le decorazioni della celeberrima Casa del Fascio, capolavoro razionalista dello stesso Terragni; suo il progetto per la fontana di Camerlata posta a Milano, nel Parco Sempione, in occasione della sesta edizione della Triennale: lavori rappresentativi di una sensibilità trasversale, in grado di riflettere con originalità sulla dimensione dello spazio pubblico, sul rapporto tra l’arte e un tessuto urbano in rapido mutamento.
La portata innovativa di Radice si misura in modo perfetto nel suo percorso come pittore, nello sguardo lanciato ai movimenti delle avanguardie europee – dal Bauhaus a De Stijl passando per il Suprematismo sovietico – e nel suo ruolo di punto di riferimento per una generazione di artisti che si riconosce nelle opere di Manlio Rho e Aldo Galli, Carla Prina e Carla Badiali. Una pagina determinante, che dimostra l’attualità di una ricerca che sa smarcarsi dalle imposizioni dell’arte di regime per nutrirsi di un internazionalità coraggiosa.