La pop art sovietica di Roginsky in mostra a Venezia

30 Giugno 2014


Pensare alla cultura sovietica, all’ambiente artistico nell’URSS degli Anni Sessanta e Settanta, significa riferirsi necessariamente alla reiterazione dei modelli del realismo di regime: ad una pittura piana, legata alle liturgie dl laico eroismo di regime. Ma significa anche affrontare il lavoro di chi, con coraggio ed estrema liberalità, ha scelto di aprire una porta e osservare cosa accadeva nel resto del mondo. Elaborando così originalissimi linguaggi sincretici.

Come nel caso di Mikhail Roginsky: artista che ha fatto di quella porta ideale, simbolica, un’opera d’arte concreta. È proprio con la sua epocale Porta Rossa  (siamo nel 1965) che si apre la prima retrospettiva che l’Italia abbia mai dedicato al maestro russo, figura che ha saputo andare oltre il figurativismo di maniera imperante in Unione Sovietica e farsi voce di squisita originalità, narratore accorto e appassionato del contemporaneo.

Sono oltre cento le opere di Roginsky in mostra, fino a fine settembre, a Venezia; gli spazi dell’Università Ca’ Foscari si fanno teatro per un focus che si concentra sull’ultima fase dell’attività del pittore, nel quarto di secolo che va dalla fine degli Anni Settanta al 2003. Anno della sua morte. Un arco temporale fondamentale per la storia della Russia e del mondo; una stagione raccontata con grandissima efficacia da uno spirito di inarrivabile sensibilità.

Nel rifiuto della forma oleografica imposta dalla cultura dominante, Roginsky avvicina una rarefazione della forma che ammicca alla grande tradizione dell’astrattismo; nella scelta di soggetti riferiti alla più umile quotidianità compie un’operazione analoga a quella che nel mondo occidentale si concretizza attraverso la Pop Art. Ristabilendo codici e stilemi narrativi, inventando nuovi linguaggi per raccontare nuovi mondi.

[nella foto: Mikhail Roginsky, Bottiglie sullo scaffale, 1978, Acrilico su cartone. Courtesy Mikhail Roginsky Fondazione © Mikhail Roginsky, ACS London 2014]