La fede secondo Ettore Spalletti, Mimmo Paladino, Lawrence Carroll, Georges Roualt. Grandi artisti del Novecento e del nuovo millennio interpretano, al Museo Diocesano di Trento, il tema del sacro
Il confine è stato valicato, in modo netto e definitivo, in occasione dell’ultima Biennale di Venezia: con la prima partecipazione assoluta, tra le tante nazioni coinvolte con i propri Padiglioni nazionali, dello Stato Vaticano. Intenso e inevitabilmente complesso, considerate le incognite del presente, il rapporto tra arte e fede: un dialogo che a Trento – città che vive dell’antica memoria del celebre Concilio – segna nuove brillanti suggestioni.
L’arte sacra non si è fermata alle pale d’altare del Trecento, alle armonie rinascimentali o ai plastici tormenti della grande pittura controriformista; la tensione verso l’inesplicabile seduzione esercitata dall’assoluto è materia viva e vitale. Come conferma la mostra ospitata fino al prossimo mese di novembre dal Museo Diocesano Tridentino, per la prima volta nella sua storia coinvolto da un progetto rivolto all’arte contemporanea.
Tutto ruota attorno al simbolo eccellenza per della cristianità: la croce. Ridotta alla propria essenza, quasi scarnificata, nel monocromo modulo geometrizzante di Mats Bergquist; oppure fratta, scomposta e dunque espansa nel mazzo di pali in legno assemblato da Hidetoshi Nagasawa. Salvo tornare ad affermare la potenza della propria essenza nella presenza materica delle pitture poveriste di Mirco Marchelli.
Non mancano, in mostra, i grandi nomi. Partendo da quello dell’irrequieto Georges Roualt, figura eretica della Parigi di inizio Novecento, presente con una empatica crocefissione della metà degli Anni Trenta; e arrivando a Mimmo Paladino (nella foto) e Lawrence Carroll, Ettore Spalletti e Kenjiro Azuma. Uniti da un senso di intima ndevozione, libero dalle gabbie del dogmatismo e teso a una struggente narrazione del mistero più inesplicabile.