Gli incubi di Marlene Dumas in mostra ad Amsterdam

9 Settembre 2014


Come reagire alla bulimia delle immagini, al continuo bombardamento imposto dalla società contemporanea; alla spersonalizzazione dell’immagine stessa, al suo perdere forza e a volte persino significato nell’assuefazione data dall’esagerata facilità di reperimento – a volte subliminale, inconsapevole – di fotografie e filmati? Attraverso una pura e matura ammissione di debolezza. Nella ricerca cioè, tutt’altro che consolatoria, dell’emotività.

Sono temi forti quelli trattati da Marlene Dumas, tra le più grandi pittrici oggi in attività, ospite da questi giorni e fino al prossimo mese di gennaio dello Stedelijk di Amsterdam. Sesso, violenza, morte; e poi ancora frustrazione, vergogna, sofferenza: ferite profonde dell’animo umano che, nella pratica dell’artista, diventano occasione per rivendicare con forza la necessità il valore quasi sacrale dell’immagine. Dura, sofferta, profonda.

Mille metri quadri di superficie espositiva, centinaia di quadri e opere su carta a coprire un percorso ormai quarantennale: quella di Amsterdam è la più grande retrospettiva mai realizzata in Europa sul lavoro di Dumas. E sancisce così la solidità del rapporto tra l’artista e il museo, tra le prime grandi istituzioni internazionali ad esporre – e acquisire nelle proprie collezioni – i suoi intensi e drammatici lavori.

Si parte dalla delicata crudezza dei disegni di fine Anni Settanta e si arriva alle tele di ultima definizione, con i progetti Nuclear Family  e The Widow  a riaffermare la capacità di convogliare in un unico sfogo creativo l’urgenza di approcciare temi individuali e collettivi. I volti tumefatti, i corpi deturpati di Marlene Dumas si vestono di pudica sofferenza; incarnando nel modo più diretto il senso di spaesamento della società contemporanea.

[nella foto: Marlene Dumas – The Wall, 2009. Collezione Gayle and Paul Stoffel © Marlene Dumas, foto Peter Cox]