Collage in versione 2.0 quelli con cui Marco Bolognesi costruisce una lisergica visione del futuro: in mostra a Merano un caleidoscopio di visioni post-apocalittiche, che affondano le proprie radici nel cinema Anni Sessanta
Valchirie sadomaso extraterrestri dalla pelle blu, atmosfera affocate in un rosso tossico e irrespirabile; paesaggi urbani distopici, dove la memoria del passato si confondo con le seduzioni cyberpunk di un futuro post-nucleare, oggettivazione degli incubi fantascientifici degli Anni Sessanta e Settanta. Un universo inquieto quello che Marco Bolognesi racchiude fino al prossimo gennaio nelle sale di Merano Arte.
Difficile considerare la sua Sendai City come una mostra tradizionale. Siamo piuttosto al cospetto di una maxi-installazione ambientale, una wunderkammer che mescola con ansiogena bulimia visuale riferimenti alle più disparate correnti della cultura popolare dell’ultimo mezzo secolo: partendo dal cinema – Bolognesi nasce come videomaker – e arrivando al mondo del fumetto, della letteratura di fantascienza.
Tutto è collage nei lavori di Bolognesi: dalle sculture, mostruose concrezioni realizzate con pezzi di giocattoli; fino alle grandi vedute urbane trattate con pastelli a cera e frammenti di fotografie, loghi commerciali ritagliati da giornali e riviste e collocati a restituire il peso avvilente della società dei consumi. Passando, chiaramente, per il film Blue Unnatural : omaggio ai sci-fi movie proiettato su uno schermo assemblato interamente con pezzi di Meccano.
A dominare la scena è lei, la città: un plastico di tre metri per tre su cui gravita un’astronave, che offre allo spettatore, grazie ad un’esperienza di realtà aumentata da vivere attraverso tablet appositamente programmati, l’illusione di una visione a volo d’uccello su ciò che potrà essere – o sarà – il futuro che ci attende. Un incubo seducente, ammaliante; il canto di una sirena elettropop che ci attrae in un gorgo alla Blade Runner .