"Io amo l'Italia" è più del titolo della mostra in corso al Centro Culturale Candiani di Mestre (Venezia): è la chiave di lettura degli scatti di Leonard Freed esposti fino al 1 febbraio, frutto di quarantacinque anni di viaggi compiuti dal fotografo di Magnum Photos nel Bel Paese.
Di tutti gli interrogativi a cui Leonard Freed ha cercato di rispondere attraverso le sue fotografie, nessuno ha mai turbato il suo rapporto privilegiato con il Bel Paese. Io amo l’Italia diventa allora più del titolo di una mostra – quella in corso al Centro Culturale Candiani di Mestre (Venezia).
È una dichiarazione che non ammette repliche; il manifesto poetico che offre la chiave di lettura degli scatti esposti fino al 1 febbraio, frutto di quarantacinque anni di viaggi attraverso città e paesaggi, volti e usanze del nostro Paese.
Perché Freed fosse così legato all’Italia, è presto detto. Anzi, per spiegarlo possiamo ricorrere alle parole dello stesso fotografo che, per quanto sia stato a lungo membro dell’agenzia Magnum Photos, non si considerava un fotoreporter “classico”: “Fondamentalmente penso che ci siano fotografie ‘informative’ e fotografie ‘emotive’. Io non faccio fotografie informative, non sono un fotogiornalista, sono un autore, non sono interessato ai fatti. Io voglio mostrare atmosfere”.
Leonard Freed si dimostra comunque capace di guardare all’Italia con occhio critico, ovvero si guarda bene dal ricalcare immagini mentali e stereotipi già diffusi oltreoceano. Il fotografo guarda gli italiani in faccia, ne riconosce le peculiarità come popolo e le inevitabili declinazioni personali di una stessa, espressiva vitalità. I membri della Curia romana giocano a tirarsi palle di neve, mentre gli indefessi lavoratori di Milano si librano per un istante su due ruote e strade lastricate.
L’elemento umano non viene mai ridotto a una qualche rassicurante etichetta. Al contrario, le contraddizioni non puntano a fare sensazionalismo facile. La dimensione temporale contro cui di fatto opera la macchina fotografica scatto dopo scatto, nel tentativo di arrestare il flusso temporale per pochi centesimi di secondo, è presente anche nei momenti che Freed ha salvato dall’oblio: richiedono tempo per essere osservati, restituendoli così alla complessità della vita vissuta da cui pur derivano.