La mostra in corso al Guggenheim di Venezia, incentrata sul dipinto Alchimia del 1947, promette un "viaggio all'interno della materia": con questa Jackson Pollock stabilisce un legame profondo, a partire proprio da quest'opera.
Lo scorso 14 febbraio, ha avuto inizio l’anno di Jackson Pollock. Che è innanzitutto l’anno di Expo 2015 a Milano, occasione per animare l’Italia intera di iniziative culturali. Ha già risposto alla chiamata la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, inaugurando appunto i suoi 365 giorni dedicati ai Pollock, #Pollock365. Al plurale, perché nel corso dell’anno si aprirà anche la prima retrospettiva mai dedicata a Charles, fratello di Jackson.
Intanto, cominciamo dal Pollock più celebre, che ha rivoluzionato la pittura contemporanea a furia di dripping e composizioni overall. Jackson Pollock non è “solo” un grande pittore informale, perché etichettare la carica emotiva delle sue opere è già limitarle.
Cosa che non meritano, essendo questi i primi quadri nella cultura occidentale privi di un orientamento di lettura: con una composizione overall, appunto, che non conosce distinzione tra alto e basso, sinistra e destra, e si estende con potenza in qualunque direzione.
La stessa tecnica esecutiva per cui Jackson Pollock è passato alla storia – quella del dripping, letteralmente della “colatura” del colore sul supporto – non comporta una semplice rinuncia alla forma-quadro. Lasciando che il pigmento si stenda secondo logiche irrazionali, l’autore abdica al suo ruolo di creatore, ovvero smette di imporre la sua volontà sulla materia. È con Jackson Pollock che finisce l’era dell’Homo Faber nell’arte.
Non a caso, la prima delle tre mostre che scandiscono i #Pollock365 è incentrata su Alchimia, opera del 1947 il cui titolo è già un manifesto: il pensiero alchemico presuppone un controllo sugli elementi, che però si può acquisire solo dopo aver stabilito una relazione profonda e spirituale con l’universo naturale. L’alchimia si basa su analogie e concordanze cosmiche, piuttosto che sullo scontro.
Giustamente, la mostra in corso promette un Viaggio all’interno della materia, perché con questa Jackson Pollock stabilisce un legame profondo che proprio in Alchimia ha la sua nascita.
L’esplosione di colori – ben 19 – e di pattern materici in cui consiste l’opera sono ora pienamente godibili, dopo che il dipinto è stato sottoposto a studio e restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La mostra scientifica segna così la fine di un intervento durato oltre un anno e l’inizio di una ambiziosa, entusiasmante stagione espositiva.