Ha inaugurato il 6 marzo a Venezia la prima mostra italiana dedicata ad Henri Rousseau. Un originale approfondimento su una carriera artistica fulminante, in dialogo con la propria epoca e con il futuro
Le sontuose sale dell’Appartamento del Doge, all’interno dell’ex dimora dogale veneziana, aprono le porte al più celebre Doganiere di tutti i tempi. Accompagnata dall’intrigante sottotitolo Il candore arcaico, l’esposizione dedicata ad Henri Rousseau – aperta al pubblico fino al prossimo 5 luglio – segna un nuovo appuntamento con il ciclo delle grandi mostre immaginate per la città dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dal suo direttore, Gabriella Belli.
In linea con l’imponente monografia del 2013 incentrata su Manet, anche stavolta si conferma minuzioso il lavoro di ricerca, condotto attorno a uno dei protagonisti della storia dell’arte recente. Con una selezione di 41 opere pittoriche, la breve ma intensa esperienza artistica di Rousseau si affranca definitivamente dall’etichetta naive e trova nuova visibilità dopo anni di emarginazione inflitta dalla critica. Grazie al contributo scientifico del Musée d’Orsay di Parigi, e a una serie di prestiti eccellenti, la pittura del Doganiere torna a calarsi nella propria epoca, rivelando una trama di relazioni con i modelli del passato e con la contemporaneità d’inizio Novecento.
L’originalità dell’esposizione è infatti racchiusa nel dialogo inaspettato con altri 60 dipinti realizzati dai veri sostenitori di Rousseau: gli amici artisti, primi collezionisti della sua produzione. Sagaci accostamenti punteggiano la mostra di affascinanti rimandi tra l’incomparabile approccio creativo di Rousseau e il lavoro pittorico della cerchia di colleghi frequentata dal Doganiere, soprattutto a Parigi. Da Vasilij Kandinsij a Pablo Picasso fino a Robert Delaunay, i grandi nomi del Novecento hanno accompagnato la storia del pittore, divenuto un punto di riferimento per le stesse Avanguardie ignorate dall’artista.
L’enigmatica ma coerente personalità del Doganiere tiene le fila della rassegna, che mette in luce anche la sua incredibile attitudine a recepire i modelli del passato facendoli però convergere in uno stile unico, dove l’aria è sottratta alle composizioni e l’occhio rimbalza su piani prospettici impossibili. Un realismo candido, appunto, capace di influenzare, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, la formazione della nuova pittura astratta europea, debitrice al fare visionario ma concreto tipico di Rousseau.
[Immagine d’apertura: Henri Rousseau, La Guerre dit aussi La chevauchée de la Discorde (La Guerra detta anche La cavalcata della Discordia), 1894 ca. Olio su tela, cm 114 x 195, Parigi, Musée d’Orsay. © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay)/Tony Querrec]