Malina Suliman è la giovanissima artista afghana che ha sfidato i talebani a colpi di graffiti, in nome della libertà delle donne. In mostra a Londra, sino al 27 agosto.
Con i Talebani non si scherza. Lo sa bene Malina Suliman, artista afghana venticinquenne che ha deciso ugualmente di alzarsi in piedi in nome della libertà, sua e di tutte le donne come lei, e di usare l’arte per mettere in discussione la politica oppressiva del regime, a cominciare da uno dei simboli del fondamentalismo islamico: il burqa.
Ha iniziato anni fa, nelle strade di Kandahar, armata di coraggio e di una bomboletta spray. Nel 2013, a causa delle minacce di morte, ha dovuto lasciare la sua terra per l’Olanda. Ora il suo lavoro è esposto in una mostra a Londra, alla Art Represent Gallery, sino al 27 agosto.
In Beyond the Veil – A Decontextualisation, attraverso video, installazioni e audio, l’artista racconta cosa vuol dire vivere una vita dietro il velo e come questo stesso elemento, cambiando il contesto e spostandosi dal mondo islamico all’Occidente, sia oggetto di sguardi differenti.
La mostra, come del resto tutta l’intera produzione artistica di Malina Suliman, nasce dalla sua biografia: a soli 12 anni fu costretta dalla famiglia a indossare l’indumento costrittivo e, da adulta, i suoi fratelli le vietarono di frequentare corsi fuori casa, perché altrimenti la loro famiglia avrebbe perso il rispetto della società.
“Mi sentivo come se non esistessi – ha raccontato di recente in un’intervista al New York Times – come se fossi la loro bambola. Mi sentivo persa.” Così ha iniziato con i graffiti, senza preoccuparsi troppo della resa finale, perché aveva solo qualche minuto a disposizione e il rischio di essere scoperta e punita fisicamente le impediva di concentrarsi. Il messaggio era ciò che contava, racchiuso in scheletri avvolti dal velo, appena abbozzati sulle mura della città.