In mostra alla Fondazione Beyeler di Basilea, un centinaio di opere dell'artista francese che ha aperto nuove strade e possibilità per le arti visive del secondo Novecento.
Jean Dubuffet – Metamorphoses of Landscape, che verrà inaugurata questa domenica 31 gennaio alla Fondazione Beyeler di Basilea, si focalizza su un particolare tema sviluppato dal pittore e scultore francese nel corso della sua carriera: il paesaggio, che nelle sue mani poteva in realtà mutarsi in qualsiasi cosa l’immaginazione – e l’ironia – di Dubuffet gli suggerisse. Ribaltando regole e convenzioni di genere, i paesaggi dell’artista ribelle si trasformano in corpi e volti, forme di vita e oggetti inanimati.
La grande esposizione, che porta in Svizzera un centinaio di opere ad alto tasso di sperimentazione, utilizza in realtà il paesaggio come metafora della stessa “metamorfosi” vissuta dall’arte della seconda metà del Novecento grazie a Jean Dubuffet.
Ispirandosi alla narrazione e alla psicologia dei disegni infantili, così come alle opere di artisti outsider, l’ex mercante di vini di fatto sbaraglia qualsiasi standard e aspettativa estetica. Ricorrendo a materiali come la sabbia e le ali di farfalla, visitando centri psichiatrici alla fine della seconda guerra mondiale (proprio in Svizzera, a Ginevra e Berna), Dubuffet “demolisce” stili e regole ma dona all’arte una potenza espressiva degna del mondo contemporaneo. Capace di creare universi nuovi, passionali e sprezzanti di qualsiasi principio di verosimiglianza.
Di fatto, aprendo la strada a generazioni di artisti successivi – da Claes Oldenburg a Keith Haring, da Mike Kelly a Georg Baselitz – che faranno tesoro di questa “primigenia” forza creativa, che recupera la parte primitiva e autentica dell’uomo, a dispetto della sua civilizzazione.
[Immagine in apertura: Jean Dubuffet, Coucou Bazar, dettaglio, 1972-1973, Collection Fondation Dubuffet, Parigi. Foto: Les Arts Décoratifs, Paris/Luc Boegly, © 2015, ProLitteris, Zurich]