Una serie di film porta gli spettatori in alcuni dei più iconici edifici contemporanei. Non aspettatevi il solito tour, perché a farci da guida non saranno le archistar, ma gli “abitanti” dei loro progetti...
Ci sono molti modi di guardare all’architettura contemporanea. Si possono ammirare le splendide fotografie pubblicate su riviste e siti specializzati, ascoltare le interviste ai più prestigiosi progettisti viventi, seguire le spiegazioni dei maggiori esperti su struttura e simbologia di ogni edificio realizzato.
Poi c’è un’ultima possibilità, anche se raramente capita di metterla in atto: vivere l’architettura, abitarla come un “qualunque” edificio, a dispetto dell’innovazione delle sue forme e anche di quell’aura di intoccabilità che accompagna ogni capolavoro, pure quando è nato per essere “calpestabile”.
Parte proprio da questo approccio la serie di film documentari Living Architectures, realizzati dall’artista italiano – parigino d’adozione – Ila Beka e dalla filmmaker francese Louise Lemoine. Ogni titolo della filmografia corrisponde a un diverso, iconico edificio, raccontato però attraverso gli occhi di chi lo popola abitualmente: invece di parlare di architettura, è l’architettura che si esprime scoprendosi intimamente, nella sua relazione con la realtà della vita quotidiana; così scoprendo il suo stesso essere una “cosa viva”, con tutti i suoi pregi e punti deboli.
L’inedita modalità narrativa e cinematografica, sperimentata da Beka e Lemoine, non è priva di una certa dose di ironia. La Maison à Bordeaux (nell’immagine sopra) di Rem Koolhaas, per esempio, assume tutta un’altra connotazione se la si vita in compagnia di Guadalupe Acedo… governante di una delle case più studiate dell’architettura contemporanea. Sempre di una residenza si tratta, in effetti, quindi perché non chiedersi cosa comporti “fare le pulizie” in un edificio progettato da un archistar?
Analogamente, per il Giubileo del 2000 Richard Meier ha progettato per Roma la sua Chiesa di Dio Padre Misericordioso (Dives in Misericordia). Una struttura religiosa davvero avveniristica, costituita da tre enormi vele autoportanti che simboleggiano la Trinità. Il tutto, all’interno di un quartiere invece piuttosto popolare della Capitale. Ecco allora sorgere una domanda legittima: cosa ne pensano, i parrocchiani, della loro chiesa?