Protagonista di una mostra fuori dagli schemi, l’artista olandese prende parte alle celebrazioni del cinquecentenario della morte di Jheronimus Bosch, condividendone lo sferzante sarcasmo e l'esasperazione delle più drammatiche tendenze della propria epoca.
Fino al 16 ottobre, il De Pont Museum di Tilburg ospita SlaveCity (in the context of Jheronimus Bosch 500), la mostra che vede protagonista Joep van Lieshout – fondatore del celebre Atelier Van Lieshout – con una decisa presa di posizione contro il mito del genio dell’arte.
Sopra le righe e non incasellabile entro i limiti di una definizione univoca, Joep van Lieshout prende parte alle celebrazioni del cinquecentenario della scomparsa di Bosch con un progetto che lo vede impegnato dal 2005, all’insegna del lucido sarcasmo e dell’implacabile senso critico che lo accomuna al pittore rinascimentale.
Rispondendo alla pressante esigenza contemporanea di un guadagno cospicuo e sostenibile, van Lieshout ha calcolato nei dettagli che, impiegando 200mila schiavi in un call center per sette ore al giorno, il profitto annuale ammonterebbe a 7,8 miliardi di euro. Ne deriva uno scenario sconvolgente, in cui la dimensione della schiavitù convive con un’organizzazione urbana irreprensibilmente green, in cui tutto è riciclabile, anche gli schiavi stessi.
Una critica feroce e sarcastica alla società contemporanea, che presumibilmente avrebbe trovato Bosch concorde.
[Immagine in apertura: Joep van Lieshout, Untitled, 2010]