Quali sorprese può riservare un documentario che intende tratteggiare la storia della corsa, nella duplice accezione di disciplina sportiva e di passione condivisa a livello globale? Molte, stando al lavoro realizzato dall'ex atleta Pierre Morath. Anche sul fronte della questione di genere.
Sulla corsa come mezzo di libera espressione del corpo si concentra Free to Run, nuovo lavoro del regista francese Pierre Morath, uscito lo scorso aprile.
Il documentario ripercorre decenni di storia mondiale della celebre attività sportiva, sondandone le evoluzioni che l’hanno resa, ai giorni nostri, parte integrante e imprescindibile della quotidianità di migliaia di individui in tutto il mondo.
Eppure, come testimonia questa produzione a cura dello storico e giornalista – nonché ex atleta – nato nel 1970, la corsa non è sempre stata considerata nell’accezione contemporanea. L’esito della ricerca di Morath – condotta attraverso la visione decine di filmati, per una durata di oltre 6mila minuti – ha sorpreso anzi lo stesso autore: nel corso dei decenni, la progressiva affermazione della corsa è costellata di episodio che si intrecciano con i più significativi momenti di passaggio della società, come le lotte per l’emancipazione femminile.
“Può sembrare inimmaginabile, in realtà, – ha dichiarato a riguardo il regista – ma abbiamo dovuto lottare per ottenere il semplice diritto di correre. Dinanzi alle donne che correvano in strada, le persone aggrottavano le sopracciglia. Gli spettatori che guardano il film, non crederanno ai loro occhi quando apprenderanno che le prime donne maratone olimpiche risalgono al 1984… il 1984, ieri!”
E le sorprese non finiscono qui…