Un vestito immerso nelle acque del Mar Morto, che lentamente si ricopre di bianchi cristalli di sale e perde la sua aura funesta. Un processo naturale è al centro della recente serie di fotografie realizzate dall'artista israeliana, che al fenomeno riesce ad associare un forte significato simbolico.
A Londra, la galleria Marlborough Contemporary espone fino al prossimo 3 settembre la “Sposa Salata” – Salt Bride – immaginata e ritratta dall’israeliana Sigalit Landau nella sua recente serie omonima, composta di otto fotografie in grande formato.
L’artista – che ha rappresentato Israele alla Biennale di Venezia del 2011 – ha ottenuto queste surreali immagini immergendo un abito nelle acque ad alto tasso di salinità del Mar Morto.
Il vestito scelto per osservare – e documentare – l’affascinante fenomeno di “salinizzazione” ha un valore simbolico, trattandosi dell’abito tradizionalmente indossato dal personaggio di Leah nell’opera teatrale The Dybbuk, scritta dal drammaturgo S. Anksy nel primo Novecento.
Nella rappresentazione, una giovane sposa viene posseduta da uno spirito maligno – il Dybbuk, appunto, termine che nella tradizione ebraica indica un’anima dannata – e quindi costretta a seguire un processo (letteralmente, davanti a una corte rabbinica) di purificazione.
Ecco allora che le acque del Mar Nero rendono visivamente, nelle fotografie scattate con perizia da Sigalit Lindau, proprio l’esorcismo praticato su Leah: il suo vestito nero, associato alla follia e alla morte, man mano si ammanta di cristalli di sale, che gradualmente aderiscono al tessuto e lo trasformano nel bianco e lucente abito da sposa che avrebbe dovuto essere, sin dall’inizio della drammatica storia.
La pratica artistica dell’autrice israeliana è spesso connessa a vario titolo con l’ambiente e il paesaggio del Mar Nero. Non è infatti la prima volta, per Sigalit Lindau, in cui sperimenta i risvolti poetici del processo di cristallizzazione degli oggetti immersi nelle acque salate. Ciò che probabilmente affascina di più l’artista è la possibilità di mostrare questo silenzioso, non-vitale bacino idrico in un’accezione propositiva, nelle sue dinamiche organiche che, in ultima analisi, sono il primo requisito della vita stessa.