Uno degli artisti più noti dell’epoca contemporanea è sbarcato in Laguna, protagonista di una mostra poderosa nei duplici spazi della Fondazione François Pinault.
Prende le mosse da una notizia che gioca dichiaratamente sul labile confine tra fiction e realtà, Treasures from the Wreck of the Unbelievable, la gigantesca mostra personale di Damien Hirst ospite, dal 9 aprile al 3 dicembre, degli altrettanto monumentali spazi veneziani di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, gestiti dalla Fondazione François Pinault.
Fil rouge della doppia mostra, il naufragio dell’enorme vascello Apistos (Unbelievable, tradotto in inglese), carico dei tesori collezionati da Cif Amotan II, un liberto originario di Antiochia, vissuto fra la metà del primo e l’inizio del secondo secolo dopo Cristo. Inabissatasi per cause sconosciute, l’imbarcazione e il suo prezioso contenuto furono ritrovati nel 2008, sul fondo dell’Oceano Indiano al largo della costa orientale dell’Africa. Solo una lunga operazione di recupero ha potuto far tornare a galla manufatti levigati dal mare per interi secoli.
Sono questi gli antefatti che lo spettatore deve accettare come reali se desidera immergersi, è il caso di dirlo, nella narrazione visiva proposta da Hirst. Un’infilata di opere inedite, frutto di un decennio di lavoro, che trovano posto negli oltre cinquemila metri quadrati delle due sedi espositive, affidate per la prima volta a un solo artista.
Busti dal sapore marcatamente classico e ricoperti di coralli e incrostazioni salmastre affiancano icone di stampo contemporaneo – Topolino e Mowgli de Il Libro della Giungla, solo per citarne alcune – monili rivestiti d’oro, spade e armature segnate dallo scorrere dell’acqua cedono il posto a presenze gigantesche come il demone che domina Palazzo Grassi. Un racconto immaginario in cui si mescolano archeologia e slanci contemporanei, suscitando non pochi interrogativi sull’inaspettata svolta creativa dall’ex Young British Artist.
[Immagine in apertura: Damien Hirst, Treasures from the Wreck of the Unbelievable, exhibition view. Photo by Irene Fanizza per Artribune]