Dal 13 maggio al 26 novembre, la Biennale d'Arte di Venezia si accompagna a un evento collaterale di notevole portata: una grande mostra dedicata a Jan Fabre, tutta incentrata sulla riflessione filosofica attorno al concetto di metamorfosi. E a due materiali "insoliti"...
Tra gli Eventi collaterali della 57. Esposizione Internazionale d’Arte, una delle mostre più attese – e già ampiamente documentate dalla stampa di settore – è sicuramente quella che vede il ritorno a Venezia di Jan Fabre.
Oltre 40 sculture dell’artista di Anversa sono state raccolte nella suggestiva location dell’Abbazia di San Gregorio, per un percorso espositivo che – intitolato Glass and Bone Sculptures 1977-2017 – abbraccia 4 decenni di carriera dell’autore.
Curata da Giacinto Di Pietrantonio, Katerina Koskina e Dimitri Ozerkov, promossa dalla GAMeC di Bergamo con EMST – National Museum of Contemporary Art di Atene e l’Hermitage di San Pietroburgo, l’esposizione riunisce per la prima volta i lavori di Fabre realizzati in vetro e ossa. Una scelta, questa dei materiali, che già denuncia il cuore della riflessione filosofica dell’artista, affascinato dall’alchimia e dalla tradizione pittorica fiamminga, i cui Maestri miscelavano ossa triturate ai pigmenti, e dall’altrettanto storica eredità dei vetrai della Laguna di Venezia.
Due materiali duri all’apparenza quanto delicati e fragili intimamente, che non soltanto si fanno portatori di una memoria storica, ma sono capaci di simboleggiare con immediatezza la stessa condizione degli esseri viventi: forti, al punto da resistere alle più drammatiche difficoltà, quanto fragile è lo spirito vitale che pure li anima.
Se le ossa vengono associate alla morte, nella poetica di Fabre, è pur vero che l’artista ha associato vetro e ossa attraverso l’idea della flessibilità, nonché dello sviluppo e della metamorfosi che queste materie possono subire, e anzi subiscono immancabilmente: “La mia idea filosofica e poetica – ricorda l’autore – che riunisce assieme il vetro con le ossa umane e animali, nasce dal ricordo di mia sorella che da bambina giocava con un piccolo oggetto di vetro. Questo mi ha fatto pensare alla flessibilità dell’osso umano in confronto con quella del vetro. Alcuni animali e tutti gli esseri umani escono dal grembo materno come il vetro fuso esce dal forno di cottura. Tutti possono essere modellati, curvati e formati con un sorprendente grado di libertà”.
Durezza e fragilità, opacità e trasparenza, ma anche vita e morte, ombra e luce: i contrasti intesi come termini dialettici, irriducibili gli uni agli altri ma anche in costante tensione e bilanciamento reciproco, sono al centro di questa mostra come di gran parte dell’arte di Jan Fabre. Che ruota incessante attorno all’ineluttabilità dei cambiamenti, alla metamorfosi come condizione esistenziale. E il vetro che noi creiamo è anche quello che ci ferisce scheggiandosi; le ossa che ci portano per il mondo si spezzano, mostrando tutta la nostra precarietà.
[Immagine in evidenza: Jan Fabre, Detail of Untitled (Bone Ear), 1988. Photographer: Pat Verbruggen. Copyright: Angelos bvba]