Lo studio d’arte più antico del mondo? In una grotta dell’Africa

8 Giugno 2017


Gli studiosi ne sono certi: la grotta Porc-Epic non era semplicemente un luogo nel quale i nostri antenati cercavano riparo o conservavano i propri averi. A quanto emerge da una recente pubblicazione, curata dai ricercatori Daniela Eugenia Rosso dell’Università di Barcellona e Francesco d’Errico e Alain Queffelec dell’Università di Bordeaux, questa cavità ubicata nella moderna Etiopia avrebbe infatti avuto uno scopo preciso, riconosciuto per lungo tempo dalle comunità preistoriche locali.
Nel documento Patterns of change and continuity in ochre use during the late Middle Stone Age of the Horn of Africa: The Porc-Epic Cave record, reso noto lo scorso 24 maggio, il duo di esperti analizza con scrupolo alcune particolari tracce rinvenute nella grotta: si tratta di testimonianze univoche, in grado di assegnarle la funzione di “studio per gli artisti”.

Il luogo, infatti, sarebbe stato visitato dai nostri antenati locali nelle fasi di ricerca di colori per realizzare le distintive opere su pietra delle epoche preistoriche. Nella Porc-Epic, infatti, i ricercatori hanno scoperto che venivano macinate materie prime “per produrre una polvere rossa fine e brillante.” Le pietre di colore ocra erano poi impiegate per ottenere polveri, di rugosità variabile, in un’ampia gamma cromatica che comprendeva i colori giallo, arancio, rosso, marrone e grigio: tutte tonalità ricorrenti nelle opere d’arte preistoriche. Secondo le analisi, la grotta sarebbe stata destinata a tale scopo per un arco temporale pari a 4500 anni.
Gli archeologi Pierre Teilhard de Chardin e da Henry de Monfreid, che nel 1929 scoprirono la grotta in Etiopia, rinvennero all’interno una scorta formata da oltre 4200 pezzi di ocra. Ancora oggi, si tratta della più grande collezione mai scoperta in un sito preistorico in Africa orientale.

[Immagine in apertura: La caverna Porc-Epic in Etiopia, photo by A. Herrero © 2017 Daniela Eugenia Rosso dell’Università di Barcellona, Francesco d’Errico e Alain Queffelec dell’Università di Bordeaux]