Luce e buio, scoperta e mistero, dramma e felicità: i contrasti sono la quintessenza delle fotografie di Michael Ackerman. Autore che, pur avendo viaggiato in lungo e in largo per il mondo, restituisce di ogni luogo un particolare soggetto: la presenza umana, in tutta la sua complessità.
Michael Ackerman, sin dalla sua prima mostra nel 1999, ha un modo molto particolare di intendere la fotografia documentaria: con un bianco e nero dai forti contrasti, dove i soggetti più chiari riverberano come di luce propria e l’oscurità incombe agli angoli, i suoi scatti radicali documentano l’esperienza umana, più che il “dato”.
Invece di formati panoramici e descrizioni puntuali, di aneddoti dai quattro angoli del mondo frammisti a quel tono esotico che non fa mai male – alle vendite delle stampe, s’intende – il fotografo della francese Agenzia VU preferisce trovare nei suoi soggetti quelle stesse sensazioni che lo spingono nella sua ricerca autoriale: i dubbi, forse anche una sottile angoscia.
Sgranate ed enigmatiche, le foto di Ackerman sono ora in mostra a Milano – fino al prossimo 16 settembre – presso la Leica Store & Galerie, oggetto della mostra personale Waterkmark curata da Claudio Composti, in collaborazione con mc2gallery.
E proprio il “segno distintivo” dell’opera del fotografo americano (ma di origini israeliane) non è una firma o un marchio (il cosiddetto watermark, appunto) ma un approccio, un modo di connettersi alla realtà che è sia radicale sia umano, “troppo umano”.
Annullando spesso coordinate geografiche e riferimenti temporali, Ackerman documenta di fatto il vissuto dei suoi soggetti, il fattore biografico – e autobiografico, considerando che ha dedicato non poche pose a sua moglie e alla loro figlia – invece di quello storico, che si intuisce come grande causa scatenante di emozioni, una strettamente legata all’altra come lo sono il buio e la luce, il bianco e il nero.