In corso al MAMbo di Bologna fino al prossimo 13 maggio 2018, l'esposizione "Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo" presenta al pubblico quante e quali arti, e così diverse tra loro, nacquero in Russia tra i primi del Novecento e la fine degli anni Trenta.
Dell’arte fiorita in Russia tra il 1910 e il 1920 si dovrebbe parlare al plurale: non un solo movimento, ma più avanguardie nacquero in contemporanea come anticipo e risposta intellettuale alla Rivoluzione del 1917, di cui quest’anno è stato a più riprese celebrato il centenario.
Non a caso, la mostra inaugurata lo scorso 12 dicembre al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, già nel titolo cita quattro diversi esponenti di altrettanti movimenti artistici, uno diverso dall’altro: Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo – visitabile fino al 13 maggio 2018 – si pone come obiettivo proprio di presentare in modo organico quante e quali, e così diverse tra loro, arti nacquero in Russia tra i primi del Novecento e la fine degli anni ’30.
In secondo luogo, come dice Evgenia Petrova, vicedirettrice del museo russo e curatrice dell’esposizione con Joseph Kiblitsky, si vuole “riportare all’attenzione non tanto della critica o degli addetti ai lavori, quanto del pubblico, artisti tipo Repin come anche Petrov-Vodkin o Kustodiev, rimasti un po’ nell’ombra a causa dell’enorme successo avuto da altri quali Chagall, Malevich o Kandinsky che pure sono presenti in mostra”.
Per raccontare così tanti stili ed evoluzioni, è naturale che la mostra facesse affidamento su congruo numero di opere: ben 70 i capolavori esposti e provenienti da San Pietroburgo, che spaziano dal primitivismo al cubo-futurismo, fino al suprematismo e al costruttivismo, costruendo contemporaneamente un parallelo cronologico tra l’espressionismo figurativo e il puro astrattismo.
La rottura tra la rappresentazione realistica e le nuove generazioni di artisti si consuma già nel 1905, con la rivoluzione democratico-borghese che poi lo zarismo reprime brutalmente. Da quel momento e fino alla seconda rivoluzione, quella socialista, tutte le esperienze avanguardistiche che giungono a Mosca da Parigi e dal resto d’Europa – dai fauves al cubismo – verranno non soltanto accolte dai creativi nordici, ma anche e soprattutto sviluppate ulteriormente, per riflettere un fervore sociale che coinvolge ogni livello della vita.
La condivisione delle idee della rivoluzione da parte degli artisti non deve però far pensare a un appiattimento delle loro posizioni a favore di un linguaggio standardizzato, dettato dall’agenda politica, anzi si dimostra vero il contrario: in un certo senso “approfittando” della distruzione del passato zarista, l’arte si fa ricerca e sperimentazione nei territori dell’inesplorato.
Si spiega così, con questo fervore che di certo e “costituito” ha solo la volontà di un futuro migliore, la sequenza ravvicinata di esiti artistici così diversi. Nel 1917 Kazimir Malevich, il più drastico degli innovatori, proclama la supremazia della pura sensibilità su qualsiasi rappresentazione del reale e riporta l’arte ai suoi elementi più essenziali, quali quadrati, croci e cerchi su sfondi monocromi. Appena due anni dopo, nel 1919, Tatlin dedica alla Terza Internazionale il progetto di un’avveniristica torre metallica, una spirale che avrebbe dovuto svettare più in alto della Tour Eiffel.
Seppure, rispetto a Kandinsky o a Chagall, i due Maestri qui citati possono sembrare in qualche modo assimilabili alla stessa corrente, di un astrattismo che rifugge da qualsiasi lirismo, che sia nel soggetto o nel ricorso al colore, Malevich e Tatlin sono l’esempio perfetto per spiegare quanto tumultuosa e contraddittoria sia stata la stagione delle avanguardie russe: i due concepivano l’arte in maniera diametralmente opposta, con Malevich che voleva liberare l’universo dell’espressione visiva da qualsiasi condizionamento materiale e Tatlin che, al contrario, puntava a riportare l’arte nella vita quotidiana.
Una differenza, quello tra i due, che è paradigmatico di quanto abbiamo sostenuto in apertura: delle avanguardie russe non si può che parlare al plurale.
[Immagine in apertura: Vassily Kandinsky, On White (I)]