Gli occhialini tondi di Basquiat, il bastone da passeggio che Charlie Chaplin utilizzava per girare Luci della città: in 200 pagine, sono diversi gli oggetti "insospettabili" ritratti da Henry Leutwyler. Umili in apparenza, sono in realtà documenti e testimoni delle più grandi storie della nostra epoca.
“Gli oggetti parlano”, sostiene il fotografo svizzero Henry Leutwyler, che aggiunge: “Almeno, parlano a me”. Non è un vaneggiamento, ma la pura verità, dal momento che proprio Leutwyler ha pubblicato un libro fotografico – Document, pubblicato da Steidl sul finire del 2016 – in cui umili, insospettabili oggetti sono in realtà testimoni di grandi eventi e fedeli sodali di celebrità e personaggi che hanno fatto la storia contemporanea.
Lo stesso Leutwyler è in effetti più conosciuto come fotografo di celebrità, piuttosto che paziente catalogatore di “elementi di scena”, quali possono essere la prima chitarra di Bob Marley o gli occhiali di Gandhi. Eppure, sono questi oggetti ad aver catturato l’immaginazione dell’autore, portandolo a lavorare sul progetto per ben 12 anni.
Tutto ha avuto inizio da altre due commissioni, nelle quali Leutwyler ha avuto modo di sperimentare su se stesso l’appeal esercitato dagli oggetti “vissuti” da grandi nomi della cosmogonia moderna.
Prima, per la realizzazione del libro Elvis by the Presleys su commissione della Elvis Presley Estate, il fotografo si è imbattuto negli effetti personali di “the King”, compresi i suoi occhiali da sole e il microfono rivestito d’oro. In un secondo momento, nel corso di un’indagine giornalistica sul controllo delle armi negli Stati Uniti, Leutwyler si è trovato di fronte al revolver calibro 38 che ha ucciso John Lennon: una volta realizzato di quale pistola si trattasse, tra tutte, l’autore non ha potuto fare a meno di immortalarla in uno scatto.
“Ho capito che potevo ritrarre le persone attraverso i loro oggetti, senza dover fotografare loro stessi”, ha spiegato Leutwyler al magazine online dello Smithsonian. Ha avuto così inizio una ricerca decennale di quegli oggetti che “sarebbe stato interessante mostrare al pubblico, che pensa invece di sapere già tutto di tutti”.