Membro di Magnum Photos sin dal 1976, Susan Meiselas è una delle fotografe che hanno rivoluzionato il reportage. Testimonianza della storia contemporanea nel suo svolgimento, non esclude nulla: a Parigi, una mostra passa in rassegna serie fotografiche e tecniche con cui l'autrice ha introdotto un nuovo modo di fare fotogiornalismo, mischiando scatti in presa diretta a testimonianze e immagini d'archivio.
Sul finire degli anni Settanta, senza che qualcuno le avesse assegnato un reportage, Susan Meiselas giunge in Nicaragua, fotocamera al seguito, per documentare la nascente Rivoluzione Sandinista. Diverrà così una delle fotogiornaliste più celebrate al mondo, per la sua capacità di testimoniare l’insurrezione – che porterà alla fine della dittatura di Anastasio Somoza Debayle – sin dalle sue prime battute, vedendo immediatamente un processo storico in quello che molti osservatori avrebbero potuto invece scambiare per una serie di episodi isolati.
Da allora, il lavoro della Meiselas non ha mai cessato di interrogarsi – e interrogare lo spettatore – sullo scambio che la stessa fotografia fa avvenire tra chi viene fotografato e la società che osserva l’immagine.
Con la mostra Mediations – dedicata alla reporter dalla Galleria nazionale dello Jeu de Paume a Parigi, aperta fino al 20 maggio – non solo viene ripercorsa l’intera carriera della fotografa di Magnum Photos, ma attraverso le tante serie presentate è possibile comprendere la rivoluzionarietà dello stile di Meiselas. L’autrice, infatti, non si limita a ritrarre i protagonisti della storia contemporanea: inserisce materiale d’archivio e documentazione, chiede agli stessi soggetti di intervenire attivamente alla realizzazione della fotografia con un commento o una testimonianza diretta (come succede già nella serie 44 Irving Street, del 2917). Lo scatto diventa così una rappresentazione che racchiude altre forme di espressione, una vera e propria storia raccontata visivamente.