L'opera video "Mum, I'm sorry", con la quale Martina Melilli si è aggiudicata il premio ArteVisione 2017, sarà proiettata al PAC di Milano. Un'occasione per apprezzare non soltanto il lavoro toccante, sensibile eppure estremamente dettagliato dell'autrice under 30, ma anche per riflettere sul messaggio morale di cui l'artista si è fatta portatrice.
Già nota ai nostri telespettatori per essersi aggiudicata l’edizione 2017 di ArteVisione – il progetto di Careof e Sky Academy, in collaborazione con Sky Arte HD e in partnership con il Museo del Novecento, a sostegno della scena artistica italiana – l’opera video Mum I’m sorry di Martina Melilli conosce ora un nuovo momento di notorietà: dal 28 marzo e fino al 20 maggio, il lavoro della giovane autrice di origine veneta torna a Milano, per la precisione al PAC – Padiglione di Arte Contemporanea, dopo essere stata presentata in alcuni dei maggiori musei italiani.
La proiezione in un contesto così prestigioso è quanto mai opportuna, non soltanto per ragioni artistiche. L’opera di Martina Melilli, infatti, oltre a essere una dichiarazione poetica di straordinaria maturità rispetto all’età anagrafica della sua creatrice (classe 1987), affronta con grande sensibilità un tema attuale quale il fenomeno delle migrazioni. Il lavoro nasce dal dialogo tra Martina Melilli e alcuni migranti sopravvissuti ai tanti pericoli delle loro estenuanti traversate, di Paesi e continenti. Dialogo poi approfondito ulteriormente dal confronto tra l’artista e la dottoressa Cristina Cattaneo, anatomopatologa e antropologa forense.
Un dialogo che è anche un contatto ravvicinato, attraverso il quale Martina Melilli scandaglia storie e affetti, o meglio oggetti e memorie che a quei vissuti rimandano: raccogliendo “prove giudiziarie” come orologi e anelli, foto e numeri annotati su pezzi di carta, l’artista suggerisce – senza scadere mai nel sensazionalismo, ma anzi mantenendo riserbo e dignità per i protagonisti delle stesse vicende – la dimensione umana di un fenomeno troppo spesso ridotto a numeri e calcoli.
Quando, ci ricorda l’autrice, quelle “masse” non restituiscono tutta la complessità delle singole vite in gioco. Come ha spiegato in un’intervista ad Artribune, l’artista ha “interrogato” gli oggetti – unica cosa rimasta dei tanti migranti che non riescono a giungere alla meta tanto desiderata – per scoprire “cosa ci raccontano di chi li aveva scelti come essenziali, come il minimo indispensabile, come “casa” da portare in un viaggio senza ritorno alla ricerca della speranza, della possibilità di. Cosa ci raccontano di quel viaggio“.