Vivian Maier a Bologna: la fotografa ritrovata ospite di Palazzo Pallavicini

7 Marzo 2018


Non smette di affascinare l’opera delle “fotografa ritrovata” Vivian Maier, al centro di uno dei più sensazionali processi di riscoperta degli ultimi decenni. Dopo la monografica su Milo Manara, a Bologna gli ambienti di Palazzo Pallavicini – la dimora settecentesca a pochi passi dalle Due Torri e da Piazza Maggiore, di recente riaperta al pubblico – accolgono nuovamente la grande arte internazionale, questa volta con un progetto espositivo focalizzato proprio sull’autrice statunitense.

Fino al 27 maggio, una selezione di 120 fotografie, in larga parte in bianco e nero, andranno a delineare lo stile di un’artista per la quale la “consacrazione internazionale” è ancora in corso. Il percorso espositivo, curato da Anne Morin di DiChroma Photography, sulla base delle foto dell’archivio Maloof Collection e della Howard Greendberg Gallery di New York, si snoda tra 10 fotografie in grande formato, 90 di formato medio e 20 foto a colori, queste ultime relative alla produzione degli anni Settanta.

Scomparsa nel 2009, Vivian Maier – la “tata-fotografa”, com’è stata popolarmente ribattezzata – utilizzò dapprima una fotocamera Rolleiflex e, successivamente, una Leica che le diede la possibilità di scattare direttamente all’altezza degli occhi.
La sua opera, guidata anche da un certo gusto per la “casualità”, restituisce agli occhi degli osservatori contemporanei soggetti poco considerati all’epoca, elevando la vita di strada a vero e proprio palcoscenico e i dettagli della quotidianità a materia d’elezione di un’indagine acuta, originale, appassionata.

Riscoperte casualmente, le sue opere hanno conquistato l’attenzione globale nel giro di poco tempo, divenendo il fulcro di una serie di rassegne espositive che hanno ben presto oltrepassato i confini degli Stati Uniti.
Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente – ha osservato lo studioso di fotografia Marvin Heiferman. – E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”.