Da New York a Firenze; da Berlino a Londra, a partire dagli anni Sessanta club e discoteche divennero campi di sperimentazione per generazioni di architetti, artisti e designer.
Ripercorre l’evoluzione di discoteche e night club, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, la nuova mostra del Vitra Design Museum di Weil en Rein, aperta fino al 9 settembre prossimo.
Il progetto espositivo curato da Mateo Kries, con Jochen Eisenbrand e Catharine Rossi, intende focalizzarsi per la prima volta sul contribuito dato dagli spazi destinati all’intrattenimento e al tempo libero alla storia del design e dell’architettura.
Il fermento legato alla cultura del night club, trainato dal desiderio di dare vita a luoghi nei quali fosse concretamente possibile sperimentare nuovi media e stili di vita alternativi, generò su scala globale una nuova gamma di locali, la cui fama resiste allo scorrere degli anni.
Tale fenomeno interessò gli Stati Uniti – celeberrimo il “caso” dello Studio 54 di New York, aperto da Ian Schrager e Steve Rubell nel 1977 e caratterizzato da arredi firmati dall’architetto Scott Romley e dall’interior designer Ron Doud – senza tuttavia lasciare indifferente l’Europa. Infatti, come dimostra Night Fever, già nel decennio precedente architetti e artisti europei e italiani furono parte attiva nella ridefinizione dei caratteri di questo tipo di locali.
A Firenze, il collettivo Gruppo 9999 progettò lo Space Electronic, una delle numerose discoteche nate dalla collaborazione con architetti del Radical design italiano; a Torino nacque lo spazio multifunzionale Piper, concepito da Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso e dotato di mobili modulari destinati al ballo, ai concerti e ai teatro sperimentale; in Versilia, il Gruppo UFO progettò la discoteca Bamba Issa, rimasta attiva per un glorioso triennio.
Accompagnata da un corpus di rari documenti cinematografici, tracce audio, grafiche, fotografie e disegni d’epoca, la mostra segue un impianto cronologico, intercettando anche gli ultimi due decenni del Novecento, per arrivare ai giorni nostri.
Al successo dell’acid house, un sottogenere della house, e più tardi della dance music fece infatti eco la nascita di una nuova generazione di club e raver. Un trend che da Londra raggiunse Berlino, dove nel 1991 sorse il Tresor, capofila di una nuova categoria di location legata al recupero di spazi abbandonati e deteriorati; nel 2004 fu la volta del Berghain, realizzato all’interno di una vecchia centrale termoelettrica.
Anche i nomi più noti della scena architettonica contemporanea si sono misurati con la tipologia del night club, proprio come gli esponenti dei movimenti radicali del secondo Novecento. A testimoniarlo, tra gli altri, è lo studio olandese OMA, che sotto l’egida di Rem Koolhaas ha proposto un nuovo concept per uno dei club più famosi del mondo, il Ministry of Sound di Londra, in quanto club del XXI secolo.
Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today è accompagnata da un‘installazione musicale e luminosa sviluppata dal progettista Konstantin Grcic e dal light designer Matthias Singer: un’occasione concreta, per i visitatori, di essere catapultati nella complessa e affascinante storia della cultura dei club e, dunque, in mezzo secolo di costume.
[Immagine in apertura: Installation view della mostra Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, Vitra Design Museum. Photo Mark Niedermann]