Tra artisti contemporanei e personaggi del passato, la mostra "Tattoo. L'arte sulla pelle", in corso al MAO - Museo d'Arte Orientale di Torino, guida il pubblico alla scoperta degli usi sociali, culturali ed estetici del corpo umano.
Se ci esprimiamo con il corpo sin dalle primissime fasi della nostra vita, è ugualmente vero che sin dai primi passi molte civiltà hanno fatto del corpo uno strumento di espressione, attraverso forme differenti di decorazione e modifica del nostro fisico.
Tra artisti contemporanei e personaggi del passato, la mostra Tattoo. L’arte sulla pelle, aperta al MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino fino al prossimo 3 marzo, guida il pubblico alla scoperta degli usi sociali, culturali ed estetici del corpo.
Nel percorso espositivo, i curatori Luca Beatrice e Alessandra Castellani non mancano di ripercorrere la lunga evoluzione del tatuaggio a partire dalle sue più “oscure” origini: nell’antichità, infatti, si trattava di un marchio destinato agli sconfitti – schiavi e criminali – o appannaggio di popolazioni barbariche che “minacciavano” i confini dell’Impero romano.
Non è in fondo diversa la percezione che l’Occidente avrà del tatuaggio nel Settecento, quando gli esploratori delle isole del Pacifico e delle coste dell’Asia sud-orientale vengono in contatto con popolazioni che ricorrono con costanza alla decorazione del corpo. La stessa parola tattoo, in effetti, è di origine polinesiana e viene introdotta dal navigatore James Cook.
L’aura assieme di meraviglia e disprezzo nei confronti di questa pratica “primitiva” costituisce però il punto di svolta per l’accettazione occidentale del tatuaggio. Dall’incontro/scontro con le civiltà isolane e asiatiche prende infatti piede la fascinazione per l’esotico e ciò che lo rappresenta (a cominciare appunto dai tatuaggi), ma anche l’elaborazione nell’immaginario collettivo e nella nostra cultura del “selvaggio”.
Proprio sui popoli che più e meglio svilupparono la pratica del tatuaggio si focalizza parte della mostra, che presenta immagini storiche – come le fotografie scattate da Felice Beato nel Giappone della seconda metà dell’Ottocento – e persino strumenti provenienti dall’Asia e dall’Oceania.
Sul fronte occidentale, invece, merita un approfondimento l’utilizzo del tatuaggio da parte degli artisti contemporanei, ben oltre il suo utilizzo popolare (personale, spesso legato a ricordi e fatti privati): Santiago Sierra ne fa un uso politico e trasgressivo, mentre Valie Export e Mary Coble hanno così veicolato tematiche femministe. Tra gli italiani, invece, abbiamo Plinio Martelli che “tatua” i ritratti fotografici e Fabio Viale che invece decora la “pelle” delle sue statue in marmo.
E perché non considerare gli stessi tatuatori come artisti in tutto e per tutto?
L’appuntamento torinese non dimentica di portare in mostra immagini rappresentative dei lavori di grandi professionisti, come Filip Leu e Horiyoshi III.