Il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ospita un focus a tutto campo sull’America precolombiana, individuando peculiarità e tratti in comune delle antiche culture locali.
È una “mostra orgogliosamente controcorrente”, come afferma Claudia Casali, direttrice del MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche, quella allestita presso la sede faentina sino al 28 aprile 2019.
Stiamo parlando di Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America, la rassegna, curata da Antonio Aimi e Antonio Guarnotta, che punta lo sguardo sulle diverse culture dell’America precolombiana, innescando un dialogo a più voci.
Restituendo una visione complessiva, la rassegna prende le mosse dalle ricerche archeologiche ed etnostoriche più recenti, volgendo soprattutto l’attenzione alla Mesoamerica e all’Area Peruviana e attingendo dalle raccolte custodite nei depositi del MIC, finora pressoché mai esposte al pubblico. Ai manufatti conservati a Faenza si aggiungono quelli in prestito da importanti musei e collezioni italiane.
I riflettori si accendono dunque sulla civiltà azteca, fautrice del più potente impero della Mesoamerica; sui Maya, che seppero elaborare efficaci sistemi calendariali e una scrittura logo-sillabica decifrata solo in tempo recenti; sugli Inca e la loro peculiare struttura sociale. “Di queste culture”, affermano i curatori, “abbiamo voluto offrire una visione che va oltre l’ammirazione del livello artistico raggiunto nell’arte ceramica. Siamo alle soglie del V centenario della conquista del Messico e ci sembra giunto il momento di condividere una nuova lettura di quell’evento, che nasca dalla “visione dei vinti”, contraddicendo così molti stereotipi sull’antica America”.
Gli spettatori possono anche confrontarsi con alcuni aspetti radicati in queste culture: il calcolo, utilizzando – per la prima volta in assoluto – abachi a base 10 e 40, oppure i calendari maya, “traducendo” la propria data di nascita; o ancora il gioco della palla, praticato in Mesoamerica come rituale religioso. Non manca, infine, la musica, grazie a registrazioni realizzate con gli antichi strumenti presenti in mostra.
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