Artista fra i più rivoluzionari ell’epoca secentesca, van Dyck è al centro della retrospettiva appena inaugurata presso i Musei Reali di Torino. Con un dettagliato focus sulla sua attività di pittore di corte.
Quattro sezioni, 45 tele e 21 incisioni: sono questi i numeri che accompagnano Van Dyck. Pittore di corte, la grande mostra allestita fino al 17 marzo nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, presso i Musei Reali di Torino. Considerato il miglior allievo di Rubens, van Dyck rivoluzionò l’arte del ritratto, affermandosi come uno dei pittori più amati dalle corti europee.
Grazie a un’attenta elaborazione formale, all’efficace uso dei colori e a una resa dei dettagli particolarmente efficace, la pittura di van Dyck metteva in evidenza lo status dei suoi soggetti, andando incontro alle esigenze delle classi dominanti, come dimostrato dai capolavori esposti.
Fu in Italia, dove soggiornò per sei anni (dal 1621 al 1627) visitando numerose città e avvicinandosi alla tradizione pittorica veneta, che van Dyck prese contatto con l’aristocrazia genovese, i sovrani torinesi e i duchi di Firenze, rapporti che contribuirono alla sua specializzazione nell’ambito della ritrattistica. Emblematiche, in tal senso, opere intitolate alla Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo e al Cardinale Guido Bentivoglio.
Oltre a prendere in esame il periodo italiano, la mostra torinese evoca gli esordi di van Dyck e il suo rapporto con Rubens, gli anni trascorsi ad Anversa, presso la corte di Isabella Clara Eugenia, e la permanenza a Londra presso Carlo I, dove l’artista si trasferì nel 1632, rimanendovi fino alla morte prematura, avvenuta nel 1641.
[Immagine in apertura: Antoon van Dyck, Il Principe Tommaso di Savoia Carignano, particolare, 1635. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali – Torino, Musei Reali-Galleria Sabauda]