Ha conosciuto i surrealisti a Parigi e formato generazioni di fotografi, compreso Steve McCurry. Una mostra a Milano punta i riflettori su un grande Maestro dell'obiettivo, che ha attraversato un secolo e tutti i continenti.
Definire un fotografo il Maestro dei Maestri può sembrare eccessivo, ma nel caso di André Kertész – cui il Centro Culturale di Milano dedica una retrospettiva, poeticamente intitolata Lo stupore della realtà, in corso fino al 10 marzo – a confermare il suo “status” ci pensò Henri Cartier-Bresson in persona: “Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima“, ebbe modo di dichiarare.
Per la fotografia contemporanea, André Kertész rappresenta semplicemente una personalità geniale.
In 90 scatti iconici, i visitatori della mostra – curata da Roberto Mutti e ideata da Camillo Fornasieri, con l’organizzazione del prestigioso Jeu de Paume parigino – possono scoprire come l’autore riuscì a elevare l’immagine fotografica a mezzo capace di reinventare la realtà.
L’appuntamento milanese offre inoltre una vera e propria sorpresa, anche per i conoscitori della materia, presentando una rara serie di fotografie a colori: al rigore compositivo cui Kertész aveva da sempre abituato i suoi estimatori, il fotografo aggiunge nuove possibilità espressive rappresentate dalle cromie, mai troppo squillanti e anzi tutte giocate su sapienti equilibri.
Nato in Ungheria sul finire dell’Ottocento, Kertész attraversa un secolo e più di un continente. Tra gli anni Venti e gli Ottanta, il fotografo passerà attraverso la vita di grandi capitali culturali, da Budapest a Parigi fino a New York.
Senza mai “cedere” al reportage in senso stretto, anzi concedendosi una visione a tratti ironica del mondo, Kertész ha saputo ritrarre un’umanità singolare, intensa, di cui il fotografo non è semplice spettatore ma partecipe comprimario.