Una monaca, che viveva a cavallo dell'anno Mille in una comunità nel sud-ovest della Germania, potrebbe aver vissuto un'esistenza molto diversa da quella che finora gli storici immaginavano. A suggerire una rivoluzionaria ipotesi sono dei microscopici frammenti di un prezioso pigmento blu, ritrovati nella sua dentatura. Com'è finita della polvere di lapislazzuli tra i denti della donna?
La scoperta annunciata lo scorso mercoledì, con uno studio pubblicato su Science Advances, ha dell’incredibile per due ragioni.
La prima è squisitamente scientifica: in tutto il cimitero di un monastero medievale in Germania, di uno scheletro di una donna deceduta tra il 997 e il 1162, ad aver fatto la differenza sono stati dei frammenti di materia invisibili a occhio nudo, ritrovati nella placca dei denti.
La monaca di Dalheim, in cui si pensa che una comunità monastica femminile si fosse stabilita appunto già da prima dell’anno Mille, recava sui denti tracce infinitesimali di un rarissimo e costoso pigmento blu, ottenuto dai lapislazzuli finemente triturati. Minerale che all’epoca veniva esportato soltanto dall’Afghanistan, per cui trasportarlo fin nel cuore dell’Europa ne faceva lievitare il prezzo a livelli pari a quelli dell’oro.
Perché allora una donna all’interno di un monastero aveva del blu oltremarino tra i denti?
E qui giunge il secondo motivo per cui la scoperta è a dir poco strabiliante. La donna era solita inumidire la punta di un pennello tra le labbra, mentre lo utilizzava per dipingere.
Il prezioso pigmento, infatti, veniva utilizzato nei monasteri per le miniature dei libri e dei manoscritti più preziosi, ovvero le copie commissionate dagli enti religiosi e dalla nobiltà. Come conferma Alison Beach, storica della Ohio State University e co-autrice dello studio, “solo a copisti e artisti di eccezionale talento veniva affidato l’uso di un colore simile“, essendo impensabile sprecarlo.
L’ipotesi a cui il ritrovamento porta inevitabilmente è una sola, ma non era mai stata concepita prima perché priva di riscontri: tra le pochissime donne nei monasteri che si occupavano della miniatura dei manoscritti – si ritiene che anche nelle comunità femminili solo il 15% dei libri fosse copiato e illustrato da donne, e prima del 1100 appena l’1% – c’erano artiste tenute in grandissimo rispetto. La cui bravura permetteva loro di lavorare con colori di inestimabile valore, che giungevano sui loro tavoli dal lontano Medio Oriente. Una scoperta che mette in dubbio quanto noto finora del ruolo femminile all’interno della società medievale e della comunità artistica e intellettuale in particolare. Materie che forse non erano poi appannaggio dei soli uomini…