Tre artisti nel labirinto del Padiglione Italia, alla prossima Biennale di Venezia

2 Aprile 2019

chiara fumai

È un titolo enigmatico e affascinante quello che accompagna la mostra ideata da Milovan Farronato per la 58. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Né altra Né questa: La sfida al Labirinto porterà nel Padiglione Italia le opere di un trio di artisti che restituiscono, con la loro pratica, alcune istanze della creatività contemporanea.

Lavori inediti e opere storiche faranno immergere il pubblico nella poetica di Enrico David, Chiara Fumai, tragicamente scomparsa nel 2017, e Liliana Moro, usando come bussola il tema del labirinto, strettamente legato alla conformazione stessa di Venezia.
Nel solco della “sfida al labirinto” proposta da Italo Calvino, Farronato pone al centro della scena il dubbio, la non-linearità e i concetti di transitorietà e intuizione, sfuggendo alle lusinghe della prevedibilità.

Le opere di David, Fumai (nell’immagine in apertura, una sua videoinstallazione) e Moro entreranno in un dialogo serrato con l’allestimento del Padiglione, inducendo gli spettatori a trovare il proprio itinerario di visita, muovendosi come all’interno di un dedalo. Diversi centri e altezze modificheranno la conformazione della sede espositiva, rendendola a sua volta rizomatica e mutevole.

Sono emblematiche, in tal senso, le parole di Farronato, che evidenzia il legame della mostra con la città ospite: “Venezia è un labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l’immaginazione di tanti creativi, tra cui Jorge Luis Borges e Italo Calvino, i due più grandi labirintologi contemporanei a detta del matematico Pierre Rosenstiehl. Venezia, indiscusso centro cartografico del Rinascimento, viene descritta da Calvino come un luogo in cui le carte geografiche sono sempre da rifare dato che i limiti tra terra e acqua cambiano continuamente, rendendo gli spazi di questa città dominati da incertezza e variabilità. È in questo contesto dal carattere imprevedibile che emerge Né altra Né questa, una mostra in cui le opere esposte, in stretto dialogo tra di loro e con l’allestimento, generano continuamente nuovi percorsi e nuove interpretazioni, ramificati come un micelio”.