Rinvenuti nel 1901 e mai decifrati: i reperti riportati alla luce nel sito archeologico iraniano di Susa sono stati decifrati solo di recente, dopo oltre un secolo di mistero. A darne notizia è stato l'archeologo francese che è riuscito nell'impresa.
Sembra uscita dalla penna di uno sceneggiatore appassionato di antiche civiltà e di misteriosi enigmi la vicenda che in queste settimane ha riacceso i riflettori su una delle popolazioni che in epoche remote occupò parte dell’odierno Iran. Eppure, nella storia che stiamo per raccontarvi, non c’è traccia di invenzioni ad effetto o di finzioni di gusto cinematografico: ricerca, studio, impegno e dedizione sono infatti gli unici “ingredienti segreti” di una scoperta destinata a entrare nella storia.
L’archeologo francese François Desset, che opera nel Laboratoire Archéorient di Lione ed è affiliato all’università di Teheran, alla fine del mese di novembre ha annunciato di essere riuscito a decifrare l’Elamita lineare, un sistema di scrittura utilizzato circa 4.400 anni fa sull’altopiano iraniano dove si insediò la civiltà Elam. Un risultato raggiunto dopo oltre un decennio di attività, che nelle ultime fasi ha potuto contare sulla collaborazione di tre colleghi: Kambiz Tabibzadeh, Matthieu Kervran e Gian Pietro Basello.
Ufficialmente identificato per la prima volta nel sito archeologico di Susa, Iran, nel 1901, l’Elamita lineare è rimasto per tutti questi anni inaccessibile e indecifrato: nessuno, infatti, aveva fin qui individuato la “chiave d’accesso” necessaria per rendere comprensibili i testi impressi sui reperti rinvenuti dagli archeologi, fra cui alcuni preziosi vasi d’argento che si ritiene facessero parte di corredi funerari. L’annuncio di Desset getta finalmente nuova luce su questa antica civiltà, ma non solo.
Per l’archeologo, infatti, a dover essere messa in discussione sarebbe anche la convinzione, fin qui prevalente, che i più antichi esempi di scrittura provengano dalla Mesopotamia, l’attuale Iraq. Dal suo lavoro emergerebbe una sostanziale contemporaneità fra il proto-cuneiforme mesopotamico e il protoelamita iraniano: non si tratterebbe, dunque, di due sistemi uno generato dall’altro, ma di due “forme sorelle”, sviluppatesi parallelamente nei due territori. A questo punto resta solo da sciogliere l’ultimo nodo e chiarire cosa indichino le testimonianze scritte giunte fino a noi da questi lontani antenati. A quanto si apprende l’operazione di decifrazione, pur nella sua complessità, sarebbe stata più coinvolgente del riconoscimento definitivo del significato delle frasi. In larga parte, infatti, si tratterebbe di dediche a divinità o di espressioni ricche di enfasi, più volte ripetute, come “io sono nome proprio, re di nome del regno, figlio di nome del padre”.
[Immagine in apertura: Clay cone with a Linear Elamite inscription (before 2300 BC ) found in Susa ; Louvre Museum. Courtesy François Desset]