A Taiwan, il Taipei Fine Arts Museum si appresta ad accogliere la XII edizione della Biennale di Taipei. Curato dai francesi Bruno Latour e Martin Guinard, il progetto espositivo è stato concepito come un planetario, composto da cinque distinti pianeti contraddistinti da altrettante visioni delle urgenze del nostro tempo e degli scenari verso i quali tendiamo.
Cinquantasette fra artisti e collettivi invitati; ventisette Paesi del mondo rappresentati; quasi quattro mesi di apertura al pubblico: questi, in estrema sintesi, i “numeri” che identificano la XII Biennale di Taipei, la più importante mostra di arte contemporanea presentata dal Taipei Fine Arts Museum (TFAM), a Taiwan. Co-curata dal noto filosofo francese Bruno Latour e dal curatore indipendente francese Martin Guinard, la rassegna, in programma dal 21 novembre al 14 marzo 2021, affianca al progetto espositivo principale un corollario di iniziative di approfondimento, fra talk, workshop e conferenze; a coordinarlo è la curatrice taiwanese Eva Lin.
L’asse tematico attorno al quale si dipana l’intera kermesse è racchiuso nel claim You and I Don’t Live on the Same Planet, che scardina il concetto di comune appartenenza di tutti gli esseri viventi al medesimo pianeta e, di conseguenza, allo stesso ineluttabile destino. Una divergenza di visioni dalla quale prendono forma posizioni antitetiche, nonostante la crisi ecologica globale sia già in atto e stia rivelando le sue conseguenze sugli assetti socio-politici internazionali. “C’è un crescente disaccordo su come mantenere il mondo abitabile, non solo perché le opinioni politiche divergono, ma soprattutto perché non sembriamo essere d’accordo su ciò di cui è fatta la Terra. Secondo alcuni oggi il mondo potrebbe essere persino piatto! È come se esistessero diverse versioni della Terra, con proprietà e capacità così diverse da essere come pianeti distintivi, il che si traduce in una deviazione nel modo in cui ci si sente, si comporta e si predice il proprio futuro“, osserva il team curatoriale, evidenziando alcune delle criticità attuali.
Quali sono dunque i riflessi sul lavoro degli artisti di tali premesse e anche le possibili “chiavi interpretative” da loro fornite? La Biennale di Taipei propone una sorta di “planetario immaginario” all’interno del museo: artisti, attivisti e scienziati selezionati per l’occasione esplorano le tensioni del nostro tempo all’interno di diversi “pianeti”, fra loro separati e autonomi. Ciascuno di questi incarna una peculiare idea del mondo: si passa dal “planet globalization”, in cui il processo di modernizzazione avviene senza sosta, incurante dei confini geografici e delle crescenti disuguaglianze, al “planet security”, che ospita chi si sente tradito dalla globalizzazione e avverte l’urgenza di erigere muri che gli garantiscano l’isolamento.
Nel “planet escape” si affollano i “privilegiati” che intendono stabilirsi su Marte per evitare il giorno del giudizio, mentre il “planet with alternative gravity” offre un rifugio, per lo meno metafisico e simbolico, a chi non può permettersi un viaggio verso un altro pianeta. Infine, l’ansia per la situazione climatica e la volontà di assicurare un futuro di prosperità alle prossime generazioni anima chi resta entro i confini della Madre Terra, nel “planet terrestrial”. Fra i partecipanti si segnalano l’artista messicano Fernando Palma Rodriguez, il francese Franck Leibovic, il taiwanese Cemelesai Takivalet, con la provocatoria Virus Series, e l’organizzazione indipendente Territorial Agency, fondata e guidata dagli architetti John Palmesino e Ann-Sofi Rönnskog.
Inevitabile, infine, un richiamo all’emergenza sanitaria e una riflessione sul senso di tale operazione in questo preciso momento storico. Come ha sottolineato il direttore del Taipei Fine Arts Museum, Ping Lin, “provati dalla pandemia, ci rendiamo conto di quanto poco possiamo controllare e che non abbiamo più il privilegio di trascurare ciò che sta succedendo nel mondo. Siamo riusciti ad aprire la Biennale di Taipei, ma dovremmo prenderla non solo come un evento, ma anche come un’opportunità per costringerci a riesaminare la realtà umana e la situazione esistenziale”.
[Immagine in apertura: Cemelesai Takivalet, Virus Series, 2020, paint on wall, 900×400 cm. Courtesy of the Artist and Taipei Fine Arts Museum]