La furia del 2020 non accenna a placarsi, trascinando via con sé anche una delle personalità chiave del panorama cinematografico attuale. Stiamo parlando di Kim Ki-duk, regista sudcoreano stroncato dalle complicazioni legate al Coronavirus.
Avrebbe compiuto sessant’anni il prossimo 20 dicembre, segnando un nuovo traguardo nell’arco di una carriera e di una esistenza votate al cinema. Invece il mondo della settima arte piange la scomparsa di Kim Ki-duk, ennesimo evento tragico di una annata davvero infausta. La morte è sopraggiunta in Lettonia ed è da attribuirsi alle complicazione legate al Coronavirus.
Originario di Bonghwa, in Corea del Sud, Kim Ki-duk trovò a Parigi gli stimoli giusti per trasformare la passione verso il cinema in una professione, facendo il suo debutto come regista con la pellicola Crocodile, alla fine degli anni Novanta. A delinearsi fin da subito è uno stile rigoroso, capace di osservare la realtà, anche sociale e politica, restituendola attraverso un linguaggio filmico che mescola richiami a filoni diversi, dal dramma al thriller.
La fama internazionale sopraggiunge con le opere successive ‒ da Wild Animals a Birdcage Inn, fino a L’isola e a Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, entrambi degli anni Duemila. La samaritana gli varrà, nel 2004, l’Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino, mentre con Ferro 3 ‒ La casa vuota si aggiudicherà il Leone d’argento ‒ Premio speciale per la regia alla 61esima Mostra del Cinema di Venezia. Sempre in Laguna il regista conquisterà il Leone d’oro nel 2012 con il capolavoro Pietà.
[Immagine in apertura: VENICE, ITALY – AUGUST 27: (EDITORS NOTE: Image has been converted to black and white) Director Kim Ki-duk attends a portrait session for his film ‘One on One’ during the 71st Venice Film Festival on August 27, 2014 in Venice, Italy. (Photo by Franco Origlia/Getty Images)]