Nell’epoca dell’alpinismo di massa, il monte Everest è diventato meta ambita da un numero sempre maggiore di scalatori. Prova ne è la grande quantità di rifiuti recuperati sulla sua vetta al cambio di ogni stagione. Ma c'è chi ha pensato di trasformare quegli oggetti, simbolo di degrado e noncuranza, in opere d'arte da esporre e vendere ai turisti come souvenir.
Pezzi di tende da campeggio, bombole di ossigeno vuote, bottigliette di plastica, lattine di alluminio. E poi ancora funi, scale, picchetti e contenitori per il cibo. Sono solo alcuni degli elementi inquinanti cosparsi sul manto nevoso di uno degli ambienti più magici del mondo: il monte Everest, noto come la vetta più alta del pianeta.
Situato tra Cina e Nepal, e meta ambita da escursionisti avventurosi e scalatori a caccia di emozioni, il “gigante” (con un’altitudine di 8848,86 metri sul livello del mare) è infatti sempre più soggetto alle incursioni dell’uomo: viaggi di natura sportiva e turistica che, così come purtroppo accade per tantissime aree “esotiche” del pianeta, stanno mettendo in serio pericolo il suo ecosistema. Ma come evitare che la situazione diventi irrecuperabile, compromettendo in maniera definitiva lo stato di salute della montagna dell’Himalaya?
A suggerire una possibile soluzione è il Sagarmatha Next Centre, promotore di una serie di attività pensate per sensibilizzare gli escursionisti sul tema della salvaguardia ambientale, facendo ricorso al potere dell’arte.
Grazie al coinvolgimento di artisti locali e stranieri, lattine, coperte e oggetti abbandonati al loro destino saranno raccolti e trasformati in opere d’arte: creazioni “eco-friendly” da esporre nelle sale del centro o da vendere ai turisti come souvenir. Un modo per mantenere il sito il più possibile intatto, generando reddito e occupazione per tanti artigiani e creativi del posto.
[Immagine in apertura: Photo by Go Wild on Unsplash]