L'Università del Salento ha presentato nei giorni scorsi le più recenti scoperte avvenute nel sito archeologico di Shahr-i Sokhta. Noto anche come "Pompei d'Oriente", si trova in Iran e dal 2016 è al centro di interventi di ricerca e scavo condotti da una missione internazionale.
Iscritto nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, il sito archeologico di Shahr-i Sokhta è situato nella provincia dell’Iran orientale Sistan-va-Baluchistan, all’incrocio delle antiche rotte commerciali che attraversavano l’altopiano iraniano durante l’età del bronzo. Conosciuto con il duplice appellativo di “Pompei d’Oriente” e di “Burnt City”, dal 2016 è al centro di un programma internazionale di ricerca e di scavo, al quale partecipa anche l’Università del Salento, attraverso il proprio Dipartimento di Beni Culturali e ben quattro laboratori interni.
Denominato MAIPS – Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha, il progetto multidisciplinare curato dall’ateneo salentino, con il coordinamento del professor Giuseppe Ceraudo e il sostegno di una pluralità di enti pubblici e privati, si occupa dello studio del sito e dei materiali in corso di scavo. Destinato a proseguire nei prossimi anni, MAIPS ha come principale obiettivo la restituzione del più completo quadro sulle organizzazioni proto-statali dell’altopiano iranico del III millennio a.C.
Nei giorni scorsi, i risultati fin qui raggiunti, confluiti nel volume Scavi e ricerche a Shahr-i Sokhta (Studies and publications Institute, Pishin Pajouh, Tehran), sono stati resi noti in occasione di una conferenza internazionale online, organizzata dall’Università del Salento. L’appuntamento ha acceso i riflettori su un’area archeologica considerata eccezionale, il cui passato si intreccia, tra fascino e mistero, con la letteratura mesopotamica e con la mitologia.
A rendere particolarmente interessante l’analisi del sito di Shahr-i Sokhta, situato a cavallo tra le quattro grandi civiltà fluviali (Oxus, Indo, Tigri-Eufrate e Halil) dell’Asia Media, Centrale e Meridionale ed esteso per circa 200 ettari, c’è innanzitutto la sua perfetta conservazione. Una condizione dovuta alla presenza di concrezioni saline su tutta la superficie dell’area, grazie alla quale i reperti e le strutture del sottosuolo risultano essere “sigillati”. Interrotta da una crisi che gli archeologici stanno indagando, probabilmente connessa a cambiamenti di tipo climatico e alla riduzione delle risorse idriche, l’esistenza di Shahr-i Sokhta ha conosciuto fasi di notevole floridità. A testimoniarlo sono le evidenze di attività manifatturiere nell’insediamento e la scoperta di ingenti quantitativi di pietre non lavorate semi-preziose.
Fra i più rilevanti dati emersi grazie alle recenti ricerche, si segnalano “l’innalzamento” della vita dell’abitato di circa 3/4 secoli. Si apprende, inoltre, che all’interno del sito, convivevano in una condizione di sostanziale equilibrio sociale clan e gruppi di origini tribali dissimili. Secondo gli archeologici, l’equilibrio economico, dovuto alla prosperità di cui il centro godette durante la prima metà del III millennio a.C., favorì questa forma di società e impedì lo sviluppo di una classe dominante. Da segnalare, infine, anche il ritrovamento di centinaia di proto-tavolette in argilla: era impiegate nella registrazione contabile all’interno dei nuclei familiari, una sorta di “contabilità amministrativa ante litteram” sperimentata in questa antica civiltà.
[Immagine in apertura: Veduta aerea di Shahr-i Sokhta. Foto di Media Rahmani]