Sono più di cento le immagini esposte nella mostra Steve McCurry. Icons, ospitata alla Galleria d’arte moderna di Palermo fino al 19 febbraio 2017. Un viaggio in giro per il mondo, nel quale il visitatore è accompagnato dallo stesso fotoreporter statunitense. Attraverso una speciale guida, che svela i retroscena di alcuni scatti in mostra.
Fino al 19 febbraio 2017, la Galleria d’arte moderna di Palermo ospita la mostra Steve McCurry. Icons. Dopo la tappa estiva al Castello Aragonese di Otranto, in Puglia, il grande maestro della fotografia contemporanea approda ora in Sicilia, con un percorso espositivo che restituisce i passaggi salienti della sua parabola artistica, quasi giunta al traguardo del quarantennale.
Parte integrante del programma espositivo autunnale dell’istituzione palermitana, Steve McCurry. Icons. propone oltre 100 immagini che assicurano una vera e propria immersione nelle atmosfere degli innumerevoli viaggi del fotoreporter statunitense. Il percorso prende avvio con una serie di ritratti eccezionali, per poi snodarsi attraverso “immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia“, realizzate tra l’altro in India, Afghanistan e Pakistan.
In quest’ultimo Paese MrCurry incontrò la protagonista di uno dei suoi più celebri lavori: si tratta della ragazza afgana Sharbat Gula, il cui sguardo immortalato in un campo profughi di Peshawar avrebbe poi fatto il giro del mondo.
Curata da Biba Giacchetti, la mostra concede l’esperienza di definire una sorta di “itinerario” tra le più remote etnie dei cinque continenti, in una costante variazione di condizioni sociali, stili di vita, latitudini e abitudini. Alla scopo di accompagnare i visitatori in questa esperienza di visione, è stata predisposta una speciale audioguida, nella quale lo stesso Steve McCurry diviene narratore, in prima persona, dei retroscena legati a molte delle foto esposte.
A Palermo, la mostra Steve McCurry. Icons propone infine anche la proiezione di un video prodotto da National Geographic. Questo lavoro descrive il processo di ricerca che ha permesso, a distanza di 17 anni dal celebre scatto, di ritrovare e fotografare di nuovo proprio Sharbat Gula.