Concepita come una piazza pubblica coperta, in grado di accogliere oltre 300 persone contemporaneamente, la "Maidan tent" è stata progettata e realizzata da un gruppo di giovani italiani, architetti e non. Smontabile e trasportabile, è attualmente collocata in un campo profughi greco, dove viene utilizzata per diverse attività, tra cui iniziative volte alle socializzazione.
Esito di un processo corale, nel corso del quale i progettisti hanno agito insieme a volontari, organizzazioni umanitarie e rifugiati, il primo prototipo della Maidan tent è stato finalmente installato nel campo profughi di Ritso na, in Grecia. A utilizzarlo saranno i migranti che approdano nel Paese del Mediterraneo, dopo estenuanti e pericolosi viaggi via mare.
Secondo i dati riportati dall’UNHCR ‐ Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nei numerosi insediamenti informali greci vivono oltre 60mila persone in attesa del riconoscimento dell’asilo politico. Pensando alla loro condizione, un team di volontari – guidato dallo Studio ABVM di Bonaventura Visconti di Modrone in collaborazione con Leo Bettini Oberkalmsteiner – ha sviluppato il progetto di questa speciale tenda, concepita come una piazza pubblica coperta, nella quale possono ritrovarsi più di 300 persone contemporaneamente.
Di rapido montaggio, trasportabile, durevole, di agevole manutenzione grazie alle componenti standardizzate e certificate, Maidan tent dispone di una struttura portante in acciaio e alluminio; in copertura è collocato un tessuto resistente all’acqua, al vento e al fuoco.
“Abbiamo scelto una forma circolare perché è priva di gerarchia – hanno raccontato i progettisti. – Si apre verso l’esterno in modo omogeneo, invitando al suo interno da ogni direzione. Il nostro obiettivo era di creare uno spazio pubblico, un grande tetto sotto al quale agire e interagire creando un luogo sociale“.
Attualmente in funzione, questa “moderna agorà” dispone di una superficie interna di 200 metri quadrati ed è adatta allo svolgimento di diverse attività: ricevere cure mediche e psicologiche; mangiare insieme, acquistare e vendere beni; imparare e insegnare; pregare; interagire, confrontarsi, scambiare idee; intrattenere i più piccoli in attività ludiche e didattiche.
Il positivo esito dell’idea promossa da due giovani architetti italiani si deve anche a tre importante collaborazioni, sorte nel lungo iter che ha condotto fino alla realizzazione. Arup Community Engagement, sezione specialistica non-profit della nota società di ingegneria internazionale, ha contribuito alla prima fase di realizzazione del progetto ed è interessata alla sua evoluzione; l’Università Bocconi, attraverso il centro di ricerca LEAP ‐ Laboratory for Effective Anti‐poverty Policies, si sta occupando del monitoraggio della quotidianità della tenda. Tre ricercatrici, in fasi successive, si recheranno al campo per raccogliere opinioni a riguardo, sollecitando direttamente i rifugiati. OIM ‐ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia collegata alle Nazioni Unite, si è ufficialmente impegnata a coadiuvare il team nella fase di realizzazione.
“Una struttura dedicata all’interazione sociale con l’intera comunità ‐ che sia mobile, articolata e integrata con il campo o con la tendopoli ‐ può essere di aiuto nell’affrontare e nel limitare il trauma migratorio“, ha affermato lo psichiatra e psicoterapeuta Giuliano Limonta, direttore del Dipartimento di salute mentale Asl di Piacenza.
E chissà che nel prossimo futuro Maidan Tent non possa essere riproposta anche in altri contesti.
[Immagine in apertura: photo by Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti]