Il Parco Archeologico di Ercolano conquista, ancora una volta, la ribalta internazionale. Una ricerca multidisciplinare, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PLoSONE, annuncia la scoperta di neuroni nel cervello vetrificato di una vittima della terribile eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
La drammatica eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 79 d.C., fu la causa della distruzione delle città romane di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis. Riportate alla luce a partire dal XVIII secolo, esse costituiscono oggi un eccezionale “scrigno” per la conoscenza della quotidianità, dello stile di vita e delle pratiche sociali delle popolazioni che abitarono questo territorio. Le costanti campagne di studio e ricerca stanno permettendo di accrescere e perfezionare il livello di informazioni su questi nostri antenati: senza dubbio, la recente scoperta di neuroni nel cervello vetrificato di una vittima sarà in grado di aprire ulteriori spiragli di conoscenza.
A qualche giorno dall’inaugurazione del nuovo Museo archeologico di Stabiae Libero D’Orsi, allestito all’interno della storica Reggia di Quisisana a Castellammare di Stabia, torniamo a occuparci dell’affascinante area vesuviana in seguito a uno straordinario annuncio del Parco Archeologico di Ercolano. In un articolo pubblicato sull’autorevole rivista scientifica americana PLoSONE sono stati resi noti i risultati di uno studio condotto dal team di ricerca coordinato dall’antropologo Pier Paolo Petrone, che include specialisti dell’Università Federico II di Napoli, del CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli, dell’Università Roma Tre, in collaborazione con il Direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, e ulteriori ricercatori. Si tratta della scoperta di neuroni umani nel cervello di una delle migliaia di persone che persero la vita a causa del funesto evento, ancora oggi considerato come la più violenta calamità causata del Vesuvio.
A spiegare il rilievo dell’episodio è lo stesso Petrone, che in una dichiarazione ha affermato che “il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi è un evento insolito, ma ciò che è estremamente raro è la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti”. L’identificazione dei resti biologici umani è stata resa possibile grazie all’ausilio delle “tecniche più avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre, un’eccellenza italiana“, ha inoltre raccontato il professor Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell’ateneo capitolino. In particolare, è stato rilevato che il rapido raffreddamento delle ceneri del vulcano ha portato “alla conversione del tessuto umano in vetro“, condizione che ha “favorito” la conservazione delle strutture neuronali in perfetto stato. In altre parole, il ritrovamento indica che le ceneri vulcaniche che distrussero Ercolano subirono un repentino raffreddamento.
Un passaggio, quest’ultimo, sul quale si è soffermato anche Petrone, sottolineando che i risultati dello studio “mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall’eruzione, unico nel suo genere, ha ‘congelato’ le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino a oggi“. Tale tipologia di indagini si inserisce nel più ampio settore delle ricerche multidisciplinari, ovvero a carattere sia bioantropologico sia vulcanologico, che secondo gli specialisti possono fornire informazioni di tipo scientifico, storico e per la gestione degli eventi catastrofici. Per Sirano, che dirige il Parco Archeologico di Ercolano, si tratta dell’ennesima attestazione della “unicità di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte archeologiche“.
[Immagine in apertura: per gentile concessione del Parco Archeologico di Ercolano]