Iván Argote, Nina Beier, Margarita Cabrera, Nick Cave, Banu Cennetoğlu, Rafa Esparza, Teresita Fernández, Kapwani Kiwanga, Lu Pingyuan, Pamela Rosenkranz, Mary Sibande e Andra Ursuţa sono i dodici artisti in lizza per la terza e quarta commissione del progetto di arte contemporanea High Line Plinth. Naturalmente a New York.
Sono trascorsi due anni da quando la monumentale scultura raffigurante una donna di colore dal titolo Brick House, realizzata dall’artista statunitense di origini giamaicane Simone Leigh, è stata collocata sulla High Line di New York. Prendeva il via in quel momento il progetto che prevede l’inserimento di opere d’arte contemporanea nell’iconico parco sopraelevato neyworkese, dopo un’accurata selezione a cura di specialisti del settore. Sono stati appena annunciati i nomi dei dodici artisti, scelti fra ottanta, delle due nuove commissioni dell’iniziativa: provenienti da cinque continenti e portatori di un’estesa gamma di prospettive tematiche, dal cambiamento climatico ai diritti umani, sono Iván Argote, Nina Beier, Margarita Cabrera, Nick Cave, Banu Cennetoğlu, Rafa Esparza, Teresita Fernández, Kapwani Kiwanga, Lu Pingyuan, Pamela Rosenkranz, Mary Sibande e Andra Ursuţa.
Le loro proposte, presentate attraverso modelli scultorei, saranno in mostra sull’High Line Plinth a partire da gennaio 2021. Solo due tra le opere elaborate verranno scelte e successivamente realizzate: saranno installate, come terza e quarta commissione del progetto High Line Plinth, nel 2022 e nel 2024. In linea con lo spirito dell’iniziativa, infatti, ogni intervento resta esposto per diciotto mesi; attualmente è ancora visibile
Brick House di Simone Leigh, che la prossima primavera sarà sostituita dalla realizzazione del secondo intervento commissionato, ancora da annunciare.
Analizzando i progetti sviluppati dagli autori in lizza per la doppia commissione emerge una pluralità di approcci, esplicito riflesso sia delle diverse correnti che attraversano l’arte contemporanea, sia delle eterogenee modalità di interpretazione del (dibattuto) concetto di “monumento”. C’è chi, come l’artista colombiano classe 1983, di base a Parigi, Iván Argote ne offre una lettura in chiave umoristica, sfidando la grandiosità e “sacralità” delle tradizionali sculture celebrative con un irriverente piccione realizzato in alluminio e con dimensioni analoghe a quelle di un Tyrannosaurus rex.
La continua evoluzione del rapporto fra uomini e mondo naturale, nelle sue molteplici declinazioni, è stata presa in esame anche da molti altri artisti, che spesso hanno associato tale tema a ulteriori urgenze della società contemporanea. Un esempio è quello proposto dalla statunitense Teresita Fernández, che dalla natia Miami si è spostata a vivere e lavorare a Brooklyn. In Maelstrom raffigura un gruppo di scintillanti palme battute dal vento: gli alberi sono la metafora della violenza e della devastazione legate alla colonizzazione americana e, anziché essere associati alla comune immagine di “paradiso tropicale”, incoraggiano domande sul potere e sul processo di decolonizzazione. Un argomento affrontato, seppur da una prospettiva sudafricana, anche da Mary Sibande che in Old wars are out and a new reason of humanity is in sovverte la canonica impostazione di una statua, prevedendo un piedistallo, fatiscente e vuoto, “preso d’assalto” da polli rossi. Ecco le immagini di tutti i progetti selezionati.
[Immagine in apertura: Pamela Rosenkranz, Old Tree. Courtesy High Line, New York]