Ha lasciato tutti di stucco il record battuto dall'artista Beeple all'ultima asta di Christie’s. La sua opera, “Everydays - The First 5000 Days”, è stata infatti venduta per oltre 69 milioni di dollari: la somma più alta mai pagata per un'opera digitale.
Chi frequenta il mondo dell’arte, e ne segue gli sviluppi attraverso i vari canali di informazione, si sarà accorto che ormai da giorni l’argomento di maggiore discussione tra professionisti e amatori è quello della crypto art: arte la cui autenticità è garantita da codici crittografati, fruibile solamente attraverso lo schermo e (stando agli ultimi sviluppi) acquistabile per milioni e milioni di euro. Ma di cosa si tratta esattamente, e quali sono le prospettive di questo fenomeno?
A sollevare clamore è stato il recente record battuto da Christie’s qualche giorno fa, nell’ambito della sessione di vendita Post-War & Contemporary Art. Tradendo ogni aspettativa, ad aggiudicarsi il ruolo di protagonista dell’intera manifestazione è stata Everydays – The First 5000 Days, opera d’arte virtuale realizzata dal graphic designer statunitense Beeple (all’anagrafe Mike Winkelmann). Venduta per oltre 69 milioni di dollari, l’opera è un “mosaico” digitale grande 21.069 pixel per lato: si tratta, in sostanza, di un comune file JPG, battuto – per la prima volta nella storia – per una somma ben superiore a quella pagata per una tela di Raffaello, di Rembrandt o di altri grandi maestri del passato.
Laureato in informatica e sconosciuto ai più (nonostante la sua ben nota attività nell’ambito dell’arte digitale), Beeple è diventato in questo modo il terzo artista vivente più pagato della storia, surclassando autori di gran lunga più famosi e storicizzati come Gerhard Richter e Lucian Freud. E pensare che il 25 febbraio, al momento dell’apertura dell’asta, la base per l’opera in questione era di appena cento dollari… La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è la seguente: com’è possibile investire una somma così mostruosamente alta per un “comune” file digitale? Quali garanzie può offrire un’opera di questo tipo, per quanto riguarda gli aspetti (affatto secondari) di autenticità e riproducibilità?
La risposta è presto spiegata chiamando in causa i cosiddetti NFT (Non-Fungible Token), codici crittografati che compongono il lavoro e che contengono la firma dell’artista, più diverse altre informazioni sulla data di creazione e sulle caratteristiche tecniche dell’opera digitale. Una sorta di “marchio” di garanzia, insomma, che rende il file riproducibile nel rispetto di una serie di vincoli “ufficiali”. Il meccanismo degli NFT – novità assoluta nell’ambito dell’arte digitale – ha consentito così al mercato di compiere un’importante evoluzione, aprendo le sue porte anche agli artisti digitali, legittimati a reclamare il loro posto nella storia dell’arte.
Difficile immaginare come il sistema dell’arte risponderà a queste novità. Di certo la vendita di un’opera digitale per una cifra così cospicua (si tratta del terzo prezzo più alto mai pagato per un artista vivente dopo Jeff Koons e David Hockney) sancisce definitivamente l’inizio di un nuovo capitolo nella storia. La trasformazione è iniziata, e, nel caso in cui ci fossero dubbi, a sanarli è un altro grande “business artist” del nostro tempo: Damien Hirst, che – insieme al printmaker HENI Leviathan – ha recentemente messo in vendita una raccolta di otto stampe della serie Cherry Blossoms, accettando per la prima volta le criptovalute Bitcoin ed Ether. Cosa ci riserva il futuro è ancora tutto da scoprire. Ciò che è certo è che la “febbre” NTF ha appena cominciato il suo contagio.
[Immagine in apertura: Beeple, Everydays–The First 5000 Days, NFT, 21,069 pixels x 21,069 pixels (316,939,910 bytes). CHRISTIE’S IMAGES LTD. 2021]