La casa editrice Contrasto pubblica “Voglio proprio vedere”, la raccolta di domande rivolte da Michele Smargiassi a sei grandi fotografi del passato. Il libro presenta sei interviste immaginarie a Robert Capa, Tina Modotti, Vivian Maier e altri. Incontri straordinari con persone straordinarie.
“Chiedo scusa a voi tutte e tutti. Vi ho convocati qui per nome e cognome, ma vi ho cambiato le parole sulle labbra. E questo, lo ammetto, non è per niente carino”. Comincia con queste parole il nuovo libro di Michele Smargiassi: una serie di interviste immaginarie rivolte ai grandi fotografi della storia. “Quello che vi farò dire nelle pagine che seguono”, continua l’autore, “non lo avete mai detto. O per lo meno: alcune cose le avete dette davvero, altre le ho ripescate dalle vostre interviste del passato. Altre cose potete averle immaginate. Altre, invece, le ho pensate io per voi, e ve le ho attribuite”.
A metà strada fra esperimento di laboratorio, saggio critico e fiction, il volume – dal titolo Voglio proprio vedere – raccoglie sei colloqui impossibili (ma non improbabili) a sei maestri dell’obiettivo incontrati da Smargiassi durante una serie di scorribande anacronistiche. Risalendo nel tempo, e raggiungendo i protagonisti del libro nella loro epoca, l’autore – giornalista, scrittore e cultore dell’ottava arte – riporta su carta i vis-à-vis con Nadar, Robert Capa, Tina Modotti, Eugene Smith, Eugène Atget e Vivian Maier.
A ognuno di essi pone domande sulla vita e sull’opera, stimolandoli (o punzecchiandoli) spoilerando informazioni grazie alle sue conoscenze a posteriori. Il senso più profondo del libro, godibilissimo e curioso nella sua forma, è chiaro: indagare i temi cruciali della cultura fotografica, e come queste varie personalità vi si sono relazionate nel corso della loro attività. Il mestiere e il ruolo sociale del fotografo, la narrazione delle immagini, la guerra e l’impegno, il rapporto con lo spettatore, la fotografia anonima: argomenti che risuonano attuali, oggi come ieri, snocciolati dagli “intervistati” secondo il loro spirito e la loro personalità.
“A tutti ho posto, in forme diverse, la stessa domanda: perché fotografate? Perché è giusto, bello, necessario, utile fotografare? O magari non lo è?”, ha spiegato l’autore. “Da ciascuno ho avuto una risposta diversa. Perché la fotografia non esiste: esistono le fotografie, ognuna diversa dall’altra. E, alla fin fine, penso che tutte le fotografie condividano una medesima, forte, semplice spinta antropologica, morale, umana: la voglia di vedere il mondo e di condividere quella visione”.
[Immagine in apertura: Autoritratto, 1854-1860 © Nadar]