In vista del prossimo “Earth Day Summit”, il “Climate Clock” di New York si arricchisce di nuovi numeri. Tenendo il conto della percentuale di energia globale ricavata dalle fonti rinnovabili.
Ricordate il grande “orologio climatico” installato tra i grattacieli di New York lo scorso 19 settembre? Ideato dal duo di artisti formato da Gan Golan e Andrew Boyd, l’intervento – dal titolo Climate Clock – segnava a grandi caratteri luminosi il tempo mancante al primo gennaio 2028 (il giorno indicato dagli esperti come il “momento di non ritorno”, se le emissioni di biossido di carbonio dovessero continuare a rimanere tali).
Dopo aver suscitato non poco clamore, palesando in maniera diretta e inconfutabile le ore, i minuti e i secondi che mancano alla nostra rovina, l’orologio è recentemente tornato alla ribalta. Lo scorso lunedì, infatti, un gruppo di attivisti – in accordo con gli autori del progetto – ha nuovamente convertito il famoso Metronome, collocato sulla facciata esterna di Union Square, in un grande cronometro a tema ambientale.
Non si tratta, tuttavia, di un nuovo countdown sulla fine della Terra così come l’abbiamo finora conosciuta, ma di un ben più “ottimistico” conteggio dedicato alla percentuale (crescente) di energia mondiale proveniente da fonti rinnovabili come il sole e il vento. Un segnale di speranza, seppur ancora flebile, che vuole essere di incoraggiamento a pochi giorni dal prossimo Earth Day Summit – la conferenza voluta dal presidente americano Joe Biden e in programma il 22 e 23 aprile.
E proprio in vista dell’atteso incontro, il gruppo di giovani attivisti di 350.org è in procinto di consegnare ai massimi funzionari della Casa Bianca anche una serie di Climate Clock tascabili, chiedendo una vera azione per il clima. L’obiettivo è ricordare (ancora una volta) ai leader di tutto il mondo gli effetti nefasti dell’utilizzo dei combustibili fossili, e la necessità di aumentare il più possibile l’impiego di risorse energetiche alternative. Le percentuali di energia “verde” salgono, ma troppo lentamente per dirci salvi. Riusciremo a trasformare la nostra “deadline” in una “lifeline”?
[Immagine in apertura: photo credit Jake Ratner for 350.org]