Ha alzato il sipario per gli addetti ai lavori la 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, curata da Hashim Sarkis. Tra salvagiardia dell'ambiente e attenzione alle dinamiche comunitarie, i temi e i progetti della rassegna allestita negli spazi dell'Arsenale.
Dopo lo slittamento causato dalla pandemia, la 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia ha finalmente schiuso i battenti per gli addetti ai lavori, preparandosi ad accogliere il grande pubblico dal 22 maggio al 21 novembre. Curata da Hashim Sarkis e intitolata emblematicamente How will we live together?, la rassegna trova il suo fulcro nella esposizione allestita come di consueto negli spazi dell’Arsenale, alla quale si sommano le partecipazioni nazionali all’interno dei padiglioni dei Giardini e un circuito di proposte esterne disseminate in numerosi luoghi della città.
Il tema portante del vivere insieme coniugato al futuro innerva la mostra ospite dell’Arsenale, che analizza alcune delle urgenze del presente, rese ancora più impellenti dalla pandemia. Accessibili anche ai non specialisti, i contenuti messi in campo da Sarkis ‒ lungo un percorso lineare che sfrutta i poderosi ambienti della Corderie senza sovraccarli ‒ sono raggruppati in cinque sezioni tematiche ‒ Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders e As One Planet ‒, a loro volta composte da sotto-temi che approfondiscono le dinamiche del vivere odierno nella cornice urbana e non solo.
La scala umana e le sue necessità abitative diventano un mezzo per innescare una riflessione inclusiva, che chiama in causa il corpo, la natura, la biodiversità e l’impellenza di dare forma a progetti architettonici capaci di integrare la salvaguardia dell’ecosistema e le istanze del vivere contemporaneo, stravolte e riplasmate dall’emergenza sanitaria. La componente materica e concreta dell’architettura è il fil rouge di una mostra che sembra voler ripartire dalle basi per rifondare i canoni della progettazione lungo quella linea sottile ma fondamentale tesa fra “ego” ed “eco”.
Strumento che risponde ai movimenti della storia ‒ inclusi i suoi drammi più grandi ‒, l’architettura può fornire alternative e “vie di uscita” anche rispetto alle epoche più complesse. Basti pensare alla torre Stone Garden di Lina Ghotmeh terminata di recente a Beirut, a poca distanza dall’area in cui avvenne la terribile esplosione dell’agosto 2020, sinonimo di resilienza e ricostruzione, ma anche a Maison Fibre, prima struttura abitabile e multipiano ideata ad hoc per questa Biennale da un gruppo di progettisti dell’Università di Stoccarda e realizzata interamente in fibra di vetro e carbonio attraverso un processo di fabbricazione robotica che impiega una minima quantità di materiale, pur rispondendo alla inevitabile richiesta di nuovi edifici attesa nel prossimo futuro.
[Immagine in apertura: Maison Fibre, 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, 2021. Photo Arianna Testino]