La storia della più grande impresa ingegneristica del continente americano del periodo pre-conquista viene ripercorsa nella nuova mostra del MUDEC – Museo delle Culture di Milano, che è tornato ad accogliere i visitatori dal 9 febbraio.
A Milano, da martedì 9 febbraio, sono tornate ad aprirsi le porte di Palazzo Reale e dei musei civici. Un segnale incoraggiante dopo le lunghe settimane di chiusura necessarie per il contenimento della pandemia, in continuità con le riaperture che hanno già avuto luogo in alcune regioni d’Italia da metà gennaio. Con il ritorno del pubblico nei musei, si alza nuovamente il sipario anche sulle mostre temporanee promosse nel capoluogo lombardo, come Carla Accardi. Contesti al Museo del Novecento, Frida Kahlo. Il caos dentro alla Fabbrica del Vapore, e Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa a Palazzo Reale. Sarà proprio questa prestigiosa sede espositiva ad accogliere, a partire dal 2 marzo prossimo, Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, una delle mostre più attese dell’anno che permetterà di vedere riunite oltre 150 opere di autrici come Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana.
Per gli appassionati di archeologia e di civiltà antiche, il MUDEC – Museo delle Culture di Milano propone, fino al 25 aprile, il progetto espositivo Qhapaq Ñan. La grande strada inca. Grazie a circa cinquanta reperti andini, provenienti dalle collezioni preispaniche-
amerindiane del museo, i visitatori potranno intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo andando alla scoperta di un’eccezionale impresa ingegneristica. Esteso per 30.000 chilometri, il Qhapaq Ñan o Strada Reale degli Inca unisce i territori compresi fra gli attuali stati dell’Ecuador e dell’Argentina. Commentando la sua realizzazione, il cronista spagnolo Pedro Cieza de León, giunto in Perù nel 1532, affermò che le strade del Paese sudamericano “superavano quelle romane e quella che Annibale fece costruire sulle Alpi“.
Curata da Carolina Orsini, la mostra milanese ricostruisce “l’epopea” di questa grande opera, analizzandola in un percorso scandito da sette sezioni tematiche. Dopo un’introduzione che esamina la storia della civiltà Inca e la sua progressiva espansione nell’arco di due secoli, l’attenzione si focalizza sulla costruzione dell’arteria stradale. Molte e complesse furono le “infrastrutture” a essa associate, per usare un termine proprio del linguaggio corrente, progettate e realizzate per superare gli ostacoli naturali del paesaggio andino, il cui vasto territorio si caratterizza per l’estrema varietà degli ambienti.
Per gli “ingegneri” e le maestranze dell’epoca si trattò dunque di assolvere a un compito estremamente difficile quanto necessario e strategico anche sul piano “politico”. Il Qhapaq Ñan va infatti considerato come il collante di un impero esteso e vario: la presenza di collegamenti viari era dunque una necessità, sia in termini di controllo della popolazione, sia per lo spostamento degli eserciti e la riscossione dei tributi. Oggi la sua memoria è più viva che mai: questa grande strada, importante eredità inca, costituisce infatti un elemento peculiare del paesaggio andino.
[Immagine in apertura: Una vetrina dell’allestimento sulla sezione delle culture che precedettero gli Inca nel territorio delle Ande centrali. Courtesy MUDEC]