La pittura è morta, si dice. Ma ne siamo davvero sicuri? Una nuova rassegna alla Fondazione Prada di Venezia esamina gli ultimi 150 anni di storia dell'arte, soffermandosi sui principali momenti di rottura di questo linguaggio. Un progetto complesso, con 80 maestri del passato e del presente.
“Lo spettro che riappare continuamente per narrare la storia della fine della pittura è un problema fantasma? E in caso affermativo, i fantasmi possono essere reali?”. A porsi queste domande è Peter Fischli, artista noto per la sua abilità nel rivisitare, spesso con ironia, il senso degli oggetti del quotidiano. Tolti temporaneamente i panni dello scultore, l’autore svizzero (meglio conosciuto per il suo sodalizio con il collega David Weiss) sarà presto impegnato in veste di curatore per la mostra Stop Painting, una rassegna da lui concepita e dedicata al ciclo (infinito) di morte e rinascita della pittura.
Protagonista dell’iniziativa – in programma a partire dal 22 maggio nel palazzo storico di Ca’ Corner della Regina, sede veneziana di Fondazione Prada – sarà infatti la “madre” di tutte le arti, la pittura, analizzata in relazione agli sviluppi subiti nel corso degli ultimi 150 anni. Nello specifico, i riflettori saranno puntati sui momenti di rottura che nell’arco di tempo in questione hanno messo in crisi questo genere e i suoi promotori, ponendoli occasionalmente di fronte a un bivio spinoso: come attualizzare i linguaggi della pittura, aggiornandoli in risposta alle esigenze estetiche e tecniche del momento? Come rinnovare una disciplina secolare che, per quanto antica, non smette di appassionare artisti e collezionisti di ogni angolo del globo?
La questione relativa alla “morte della pittura”, d’altronde, è annosa e ampiamente dibattuta. Superata, surclassata, sbaragliata dalle nuove tecnologie, la pittura continua tuttavia a essere protagonista assoluta delle aste e dei musei, rispondendo al tempo che avanza con la solidità di una “vecchia signora” consapevole di non avere nulla da dimostrare.
Visitabile fino al 21 novembre, la mostra – definita dallo stesso Fischli come “un caleidoscopio di gesti ripudiati” – esplora cinque momenti di svolta nella storia della pittura, segnati dalla comparsa di nuovi fattori sociali e culturali che ne hanno sconvolto il cammino. Dalla nascita della fotografia e dalla seguente messa in discussione del concetto di unicità dell’oggetto d’arte, alla crisi rappresentata dall’invenzione del readymade e del collage; dalle questioni relative al concetto di autorialità apparse in epoca postmoderna al confronto con i nuovi temi del consumo nella società tardo-capitalista. I riferimenti teorici sono tanti (su tutti Roland Barthes, Luc Boltanski e Rosalind Krauss), così come gli artisti chiamati a riassumere ognuna di queste fasi di rottura.
Sono oltre 110 le opere in mostra, realizzate da ottanta autori differenti e disposte nelle dieci sezioni del progetto. Tra questi spiccano Lucio Fontana, Ed Rusha, Niki de Saint Phalle, Carla Accardi, Walter De Maria, John Baldessari, Pino Pascali, Asger Jorn e Roy Lichtenstein (solo per citarne alcuni). Autori che, alle crisi del loro medium, hanno risposto con la pratica in studio e con la produzione di nuovi capolavori, tenendo ben saldo sulle sue gambe un corpo che si dava per defunto. La pittura è morta, viva la pittura!
[Immagine in apertura: Morag Keil, Eye 1 – 4, 2018. Four elements, oil on canvas, 40.5 x 51 cm (each). Courtesy of the artist and Jenny’s, Los Angeles. Photo: Ed Mumford]