Un nuovo libro racconta il progetto realizzato da Le Corbusier nella città di Ahmedabad, in India. Un volume utile per comprendere meglio alcune scelte progettuali alla base della città utopica di Chandigarh e l’intero percorso del grande architetto nel Paese asiatico.
L’epopea di Le Corbusier a Chandigarh è cosa nota. Il grande architetto, accompagnato dal cugino Pierre Jeanneret, sbarca in India per la prima volta nel 1951 con l’incarico, affidatogli dal primo ministro Nehru, di progettare ex novo la capitale del Punjab, mettendo in pratica le sue riflessioni sulla città ideale.
Quello che forse non tutti sanno, invece, è che durante gli stessi anni, tra il 1951 e il 1956, e nel corso del suo “periodo indiano”, Le Corbusier disegnò anche l’abitazione di Manorama Sarabhai, esponente di una potente famiglia di imprenditori di Ahmedabad, nello stato federale del Gujarat. Un progetto in scala minore che, però, aiuta a comprendere meglio la grande utopia di Chandigarh, e che viene oggi ricostruito nel dettaglio nel libro di Maria Bonaiti edito da Electa.
In Le Corbusier in India. Villa Sarabhai, Ahmedabad, 1951-1956, l’autrice e Alessandra Rampazzo, che firma un saggio critico, partono dall’edificio realizzato da Le Corbusier – una variazione sulla tipologia della villa mediterranea da lui affinata nel corso degli anni Quaranta, immersa in una rigogliosa vegetazione tropicale e caratterizzata da una serie di soluzioni formali innovative – per allargare il campo al rapporto tra il maestro svizzero e il Paese asiatico che ancora oggi porta tracce evidenti del suo passaggio, e non soltanto in senso fisico. Tra i giovani architetti indiani impegnati come assistenti di Le Corbusier sul cantiere della dimora gujarati c’era infatti un certo Balkrishna Doshi, futuro Pritzker Prize.
[Immagine in apertura: Veduta del fronte verso il giardino. Credit Andreas Fuhrimann]