Estesa per 26 metri in lunghezza, larga 6 metri e dotata di pavimentazione in lastre in calcare di Aurisina in larga parte ancora intatte: così si presenta la piazza emersa ad Aquileia in seguito alla campagna di scavo coordinata dall'Università di Verona ‒Dipartimento Culture e Civiltà nell’estremità sud-occidentale del noto sito.
Nonostante le numerose difficoltà che si sono susseguite nel corso del 2020, con le inevitabili ricadute anche nell’ambito della ricerca accademica, l’anno in chiusura ha riservato non poche sorprese e novità agli archeologici e, più in generale, agli appassionati di civiltà antiche. Dai vari ritrovamenti avvenuti nel Parco Archeologico di Pompei alle ripetute scoperte all’interno della necropoli di Saqqara, in Egitto, fino al recupero della più antica e vasta struttura monumentale eretta dalla civiltà Maya, emersa a Tabasco, in Messico, sono state decine le notizie che hanno conquistato l’attenzione mediatica internazionale.
A pochi mesi dall’annuncio della conclusione dei lavori nella Domus di Tito Macro di Aquileia, la dimora di epoca romana tornata visibile in concomitanza con l’ultima edizione delle Giornate Europee del Patrimonio, facciamo tappa nell’affascinante ex colonia romana per presentare gli esiti della campagna di scavo recentemente portata a termine da un’équipe dell’Università di Verona ‒ Dipartimento Culture e Civiltà, diretta dalla Professoressa Patrizia Basso in collaborazione con Diana Dobreva. L’intervento, condotto su concessione ministeriale, si è svolto in accordo con la Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, con la collaborazione scientifica del direttore della Fondazione Aquileia Cristiano Tiussi e con il sostegno economico della medesima Fondazione.
Sebbene sia stata una campagna sui generis, doverosamente condotta nel rispetto delle norme previste dell’emergenze sanitaria e in assenza di studenti, i risultati finali da essa emersi appaiono di assoluto rilievo. A illustrarli è stata proprio la direttrice Basso, la quale in una dichiarazione ha sottolineato che le azioni condotte sul campo “hanno portato alla luce un nuovo e finora ignoto edificio che faceva parte del complesso, posto a occidente dei due già individuati nel 1953-54 da Giovanni Brusin, in un terreno non indagato in quegli anni per la presenza di un vigneto allora in uso. Confermando le anomalie emerse con le prospezioni geofisiche condotte nel 2018, sono emerse una piazza ancora intatta nella sua pavimentazione in lastre in calcare di Aurisina, estesa per 26 metri in lunghezza e 6 in larghezza, e due serie di basi allineate ai lati, pertinenti ai pilastri dei portici che la attorniavano“.
Dall’osservazione della pavimentazione, riaffiorata dagli scavi effettuati nell’area del Fondo ex Pasqualis, nell’estremità sud-occidentale di Aquileia, è stato possibile rilevare interessanti “tracce” della vita quotidiana dell’antica città, fra cui degli “incassi” riconducibili a giochi con pedine. Gli archeologi, inoltre, ritengono che le future indagini permetteranno di accertare l’esistenza di una quarta piazza, anch’essa già individuata dallo storico e archeologo Brusin, ma sprovvista di una documentazione specifica. Completano e arricchiscono il recente ritrovamento una serie di monete, tra cui quella d’oro coniata per la zecca di Costantinopoli. Per Diana Dobreva del dipartimento Culture e Civiltà tale reperto si qualifica come “di estremo interesse“, sia perché i rinvenimenti singoli di monete d’oro sono estremamente rari, sia in quanto si tratta di un avvenimento senza precedenti per Aquileia.
[Immagine in apertura: Courtesy Università di Verona – Dipartimento Culture e Civiltà. Fonte Fondazione Aquileia]