Trieste si popola di animali colorati in occasione della mostra dedicata al collettivo Cracking Art, lanciando un invito a guardare con occhi diversi i luoghi principali del capoluogo giuliano.

In questi giorni Trieste si sta colorando di bizzarri animali dislocati tra edifici storici, piazze e vie; ma cosa ci fanno branchi di lupi, lumache giganti e coccodrilli a spasso per la città? La singolare invasione di queste creature dalle tonalità sgargianti è parte integrante di Incanto, la mostra, promossa dal Comune di Trieste, che, fino al 17 ottobre, celebra la storica attività del collettivo artistico Cracking Art, da sempre attento a trasmettere un profondo senso di rispetto verso la natura e i suoi abitanti. LA MOSTRA DI CRACKING ART A TRIESTE L’insolito e coloratissimo percorso prende vita grazie a un folto numero di chiocciole collocate tra gli archi e le colonne del meraviglioso Salone degli Incanti per poi dipanarsi fra le strade della città. Ed è così che conigli, pinguini, elefanti, rondini, lupi, coccodrilli, rane e gasteropodi (tutti in plastica riciclata) coabitano, formando un corpus di oltre 120 opere atte a trasformare lo spazio urbano in un museo a cielo aperto. Dall’ex Pescheria in via Riva Nazario Sauro fino alla suggestiva Piazza Ponterosso si articola un itinerario che fa riscoprire – tanto ai suoi cittadini quanto a chi si trova soltanto di passaggio – il centro di Trieste attraverso una lente empatica che porta l’attenzione anche sull’importanza di riconsiderare i luoghi nei quali ci si muove ogni giorno. L’esplorazione del percorso, che tocca sia le piazze principali (come Piazza della Repubblica, Piazza della Borsa, Piazza Cavana, Piazza Verdi e Piazza Hortis) sia alcuni degli edifici simbolo della città (quali la Chiesa di Sant’Antonio Nuovo, l’Hotel Hilton e il Palazzo della Cassa di Risparmio), potrà anche essere affiancata da visite guidate gratuite offerte, ogni domenica mattina, dall’Associazione Guide Turistiche del Friuli Venezia Giulia. LA STORIA DI CRACKING ART Attivo dal 1993, con alle spalle numerose esposizioni in tutto il mondo (fra cui tre partecipazioni, dal 2001 al 2013, alla Biennale di Venezia), il collettivo Cracking Art ha sempre utilizzato l’arte per sensibilizzare il pubblico su questioni delicate come la cura dell’ambiente o la salvaguardia delle specie in via di estinzione. A caratterizzare il modus operandi del gruppo di artisti e ambientalisti è infatti il particolare utilizzo che fanno della plastica, materiale del quale si compongono tutte le loro opere. Il nome stesso del collettivo riflette questa sensibilità, avvalendosi di un duplice significato che allude sia a un atto di rottura nei confronti di approcci standardizzati al fare artistico (dal verbo inglese “to crack”) quanto al termine “cracking catalitico”, espressione tecnica che si riferisce a quella precisa reazione chimica in grado di trasformare il petrolio grezzo in plastica. Come affermano gli stessi artisti sul loro sito: “Cracking è il divario dell’uomo contemporaneo, dibattuto tra la naturalità originaria e un futuro sempre più artificiale. Cracking è quel processo che trasforma il naturale in artificiale, l’organico in sintetico. Un procedimento drammatico, se non è controllato, una scissione che ci mette tutti di fronte a realtà nuove”. [Immagine in apertura: Cracking Art, Sydney | Australia 2013. Crediti fotografici Cracking Art]
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